Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Matti de Trionfi

Carnevale e Follia

 

Andrea Vitali, luglio 2011

 

 

Di Tomaso Garzoni da Bagnacavallo (1549-1589) abbiamo esaminato diversi componimenti 1. Nella La Piazza Universale di tutte le professioni del mondo (1585), forse la sua opera maggiore, troviamo elencato al Discorso LXIX intitolato “De’ Giocatori in Universale, & in Particolare”, uno degli ordini di Tarocchi in voga nel sec. XVI: “Alcuni altri sono giuochi da taverne come la mora, le piastrelle, le chiavi, le carte o communi, o Tarocchi di nuova invenzione, secondo il Volterrano 2; ove si vedono danaro, coppe, spade, bastoni, dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, l’Asso, il Re, la Reina, il Cavallo, il Fante, il Mondo, La Giustitia, l’Angelo, il Sole, la Luna, la Stella, il Fuoco, il Diavolo, la Morte, l’Impicato, il Vecchio, la Ruota, la Fortezza, l’Amore, il Carro, la Temperanza, il Papa, la Papessa, l’Imperatore, l’Imperatrice, il Bagatella, il Matto” 3.


Uno degli argomenti cari al Garzoni fu la Follia della quale, oltre che nell’Hospidale, tratta anche in altre sue opere, fra cui La Piazza Universale. Di interesse per questa nostra disamina è un commento che gli compie nel Discorso CII’ dal titolo De’ Maestri delle Scienze, et Costumi, & de’ Putti, che vanno a scuola, & de’ Dottori in studio, & Scolari di Studio, in cui ironizzando sul carattere degli studenti ‘depravati’, vale a dire di coloro che non avevano alcun reale interesse negli studi, ma solo nel trascorrere il tempo in balordaggini, sottolinea come a questo tipo di studenti fosse congeniale l’organizzazione di quel Carnevale che tanto piaceva al popolo, il quale avrebbe assistito ai “più bei matti de trionfi” che si potessero vedere. In pratica il popolo, che conosceva bene la carta del Matto, avrebbe potuto ammirare matti straordinari, degni di essere considerati fra i Matti più belli di mazzi di tarocchi 4.


La loro pazzia poteva infatti esprimere “una festa ridicolosa, & uno spasso maraviglioso”, poiché a questi studenti dal cervello vacuo, a differenza di ogni loro altro simile in identica condizione, piaceva darsi cioè esprimersi in pubblico. Nell’Annotatione sopra il CII Discorso, Garzoni, citando Garges, scrive infatti che “il Vacuo in natura non si dava, eccetto che ne’ Scolari di studio comunemente, perche tre cose erano sommamente vacue in loro, il cervello, la borsa, & la scienza”.

 

Ma veniamo a quanto scrive il Garzoni al riguardo, il cui inizio è rivolto a sottolineare come gli studenti seri, cioè quelli depositari di giudizio e saggezza, non appartenendo alla genia dei matti sopracitati, venivano da questi ultimi considerati poco o nulla:


“Ma s’uno è gentil con tutti, modesto, affabile, cortese, letterato, giudicioso, e savio, questo tale ne’ moderni studij è riputato poco, non essendo della caterva de trascurati, e desviati. Et s’altri con bellissimo discorso, & felicissimo giuditio cerca di far ridotto honorato, di Comedie, di Tragedie, di canto, di suono, di Retorica, di Poesia, di spettacoli civili (come pur tal volta se ne vede) pochi si vedono farli corona intorno, perche la gloria vera è offuscata dinanzi a giudicij de’ studenti depravati, i quali non sono buoni da altro quasi che da porsi come i Tori in steccato, e cacciargli i soffiano nelle corna, acciò si scapriccino a loro modo da far pazzie. Però avvertiamo il loro nobilissimo Rettore, e tutti i Rettori eccellenti di studio, mandando un bidello a un per uno, che facciano in modo, che questi diavoli scatenati venghino allegramente alla volta di piazza, perche con le materie loro tutto il volgo s’aspetta una festa ridicolosa, & uno spasso maraviglioso da vedere, sperando che i Buratini, i Gratiani, i Magnifici, i Zani 5, e tutte le sorti di buffoni non mancaranno ad illustrar la piazza per farci cosa grata. Fra tanto ciascuno prepari il luogo, perche s’hanno da vedere i più bei matti de trionfi, che si siano visti ancora, perche per questa correttione fraterna, non cesserà in loro il carnevale, anzi il cervello gli diventerà frollo in modo, che saranno più solenni per l’ottava [l'ottava ora], che per la festa” 6.


Se il Carnevale era in questo caso organizzato da matti, capaci con la loro pazzia di generare 'maraviglioso' divertimento, andando alle sue origini la pazzia possedeva risvolti filosofici e mistici. Per comprenderla, occorre conoscere il significato profondo del Carnevale che venne illustrato dall’assirologo, orientalista e archeologo Hugo Winkler (1863-1913), docente all’Università di Berlino, nella sua opera La cultura spirituale di Babilonia 7. 

 

Secondo i suoi studi, l’etimo della parola Carnevale deriva da Carrus Navalis, traduzione latina di quel carro navale, cioè una nave su ruote, che a Babilonia in occasione dell’equinozio di primavera percorreva la via della festa, governato dal dio Salvatore Marduk in lotta contro il Drago, ovvero la dea Tiamat. La nave su ruote percorreva la strada principale di Babilonia per giungere al tempio del Dio Marduk. Durante il viaggio le persone che occupavano la nave portavano una maschera in segno di irriconoscibilità, rappresentazione simbolica del Caos prima della Creazione dell’Universo. Una volta giunti al Tempio del Dio, al momento di scendere, una figura che impersonava la Morte toglieva a ciascuno la maschera a rappresentare da un lato la morte di ciascuno dal Caos e dall’altro la propria nascita nell’universo costituito, dove persone e forme acquisivano una loro identità.

 

La lotta fra le due Deità si concludeva quindi con la vittoria del dio Salvatore, sicché l’anno vecchio (forza ostile delle tenebre vinta dagli astri della primavera), considerato nemico e oppressore, lasciava il posto al nuovo universo ordinato, ristabilito dal dio vittorioso che dopo essere sceso agli inferi risorgeva vincendo il Caos.

 

La sfrenatezza ovvero la follia che connaturava la Festa era la rappresentazione del passaggio dal vecchio al nuovo anno. Si toglieva l’ancora, si salpava metaforicamente, si affrontava l’alto mare. Come scrive Alfredo Cattabiani “Ogni passaggio delle acque è inquietante, ambiguo, angosciante. Non è facile il viaggio: nella traversata la paura del passaggio periglioso rende folli coloro che s’imbarcano. Per questo motivo il Car Naval venne chiamato, nel Medioevo anche stultifera navis, la nave dei folli [come ritroviamo nell’opera Der Narrenschiff di Sebastian Brant del 1494]. Ma la follia non è insensata, essa ha una direzione che è l’altra sponda ove deve approdare il Carro Navale. Durante la navigazione il corpo del vecchio anno si frantuma nell’indistinto: ognuno perde la propria identità mediante l’uso della maschera, i ruoli sono invertiti, così come i sessi, mentre la danza collettiva diviene orgia dionisiaca; è l’ubbidire al Gioco divino che regge il cosmo; e infatti i giochi sono tipici di questo periodo di passaggio" 8.


Se la metafora che connota il ruolo e la finalità degli ospiti del Carrus Navalis è quella di una follia che sottende alla rigenerazione, la Nave dei Folli (Das Narrenschiff) di Sebastian Brant, intollerante cattolico, trasporta folli che in realtà sono già morti. Per Brant non esiste la possibilità dell’auto-rigenerazione attraverso la follia: quest’ultima è cieca di fronte alla morte, sia quella fisica che dell’anima. La disamina di Brant è rivolta a coloro che non possono e non vogliono essere salvati, facendosi promotore di un’azione di comunicazione sulla necessità di evitare, per la salvezza della propria anima, l'insensata follia.  



                                                               Nave dei Folli

                                                            La Nave dei Folli, xilografia da "Das Narrenschiff"


Scrive Francesco Saba Sardi: «Brant se la prende con tutto quanto non può che apparirgli paganeggiante, in primo luogo con il Carnevale, in cui vede l’irruzione del ‘campestre’, priapico, fallico, asinino (e l’asino in Brant è simbolo, oltre che di stoltezza, anche e sempre di lussuria), e la permanenza nel cuore della Città, del demoniaco, dello ctonio, della tenebra notturna [... ]. La terra è una ‘casa di matti’, luogo di perdizione, cunicolo  in fondo al quale, per grazia di Dio, può balenare un raggio di luce [...]. Il peccatore, certo, è colui che vaga senza meta, come la nave su cui è imbarcato [...]. La navigazione terrena si svolge dunque ‘senza scopo né ragione’ ed è, nonostante l’incosciente allegria dei matti imbarcati, ‘gravosa’; nessuno ha consultato carte, nessuno si è affidato alla bussola [...]. Nel cristianesimo ‘vero’, il cristianesimo ‘ragionevole’, ‘prudente’, ‘saggio’, la Follia non ha sede e non ha posto. Se ne vada con la Nave, sia messa al bando» 9.

 

Nella Nave, Brant esorta, sollecita, mira a insegnare al lettore a evitare la Follia insensata, un atteggiamento che anticipa già nel Proemio:

 

Al bene e alla salute destinato
per esortare a seguir la saggezza
e a evitare e punir l’insensatezza
la cecità, l’errore e la mania (1)
in ogni luogo sia
la razza umana: con gran lavoro e zelo
compilato in Basilea:
per Sebastiano Brant
dottore in utroque (2) 10

 

(1) mania = l’essere posseduti dalla follia
(2) in utroque =  in diritto civile e canonico

 

I folli della Nave del Brant incarnano il Folle dei tarocchi, colui che non crede, contro ogni ragione e atteggiamento prudente, nel Dio dei cristiani. Ma esiste una sostanziale differenza fra il viaggio della Nave e quello dei Tarocchi: lì i folli non guadagneranno mai una coscienza superiore, poiché è a loro avulsa qualsiasi forma di traguardo (il folle è vacuo, come il suo viaggio); qui il Folle, pur inizialmente immerso nel mondo delle ‘Vanità’ (Vanitas vanitatum), tende alla ricerca di una consapevolezza che potrà raggiungere solo e se saprà cogliere il senso della “sapiente” follia che è immedesimazione con il divino 11.

 

A conclusione di questa nostra breve disamina, fra i 112 argomenti trattati dal Brant sulla follia, abbiamo scelto di riportare il testo Dell’Instabilità della Fortuna, ‘memento mori’ centrale nella processione dei Trionfi dei tarocchi:

 

                                                                Ruota di Fortuna

                                                                 Ruota di Fortuna, xilografia attribuita al Durer
                                                                                         da "Das Narrenschiff"
                                                            

37 - DELL’INSTABILITÀ DELLA FORTUNA

 

Chi sulla ruota di Fortuna siede,
Attento stia che non gli manchi il piede
E non abbia dei matti la mercede.
Matto è chi troppo in alto vuol salire,
Pel mondo intero spregio ad esibire,
E  vuol montare ad ulteriore quota
Senza pensar di Fortuna alla ruota.
     Chi troppo in alto sal cade sovente
Precipitevolissimevolmente.
Nessuno sale tanto, tra gli umani,
Che possa essere certo del domani.
E  aver sol di fortuna vita carca -
Ché mai arresta di Cloto la Parca
La ruota - e preservare oro e potenza
Di morte dall'implacabile sentenza.
     Inquieto giàce chi ha testa coronata:
Dal potere la vita fu falciata
A molti. Mai non dura la potenza
Che sia sorretta sol dalla violenza.
Ove manchi del popolo il favore,
Poche le gioie, ma molto il dolore.
Assai dovrà temere chi ha voluto,
Oltre che governare, esser temuto.
Chè la paura è un malo servitore,
Che non difende a lungo il suo signore.
Chi detenga il potere dunque impari
Di Dio i comandi ad aver sempre cari.
Chi la giustizia tenga in pugno salda,
Avrà un poter che dura e non si sfalda;
Quando muore un monarca beneamato,
Dai suoi sudditi a lungo è lacrimato.
Guai al sovrano, dopo il cui decesso
Si dica: "Grazie a Dio, sotterra è messo!"
     Chi la sua pietra in alto getterà,
Mal gli farà se in testa gli cadrà,
E  chi vuol tutto a Fortuna affidare,
In ogni istante a terra può cascare 12.

 

Note

 

1. L’Hospidale de’Pazzi incurabili - 1586; Il Theatro de' Cervelli 1585 oltre ad alcuni passi in diversi saggi tratti da La Piazza Universale di tutte le professioni del mondo. 

2. Garzoni nello stilare questo elenco dichiarò di riferirsi all’opera Commentariorum Urbanorum XXXVIII libri (1506) di Raffaele Maffei (1451-1522) detto il Volterrano (o Volaterrano) dal suo luogo natale, cioè Volterra, e nello specifico alla sezione del Libro XXIX dal titolo 'De ludo diverso quo summi viri quandoque occupati fuerunt' (Sul diverso gioco in cui grandi uomini ogniqualvolta furono occupati). La seguente frase del Volterrano 'Chartarum vero & sortium & divinationis ludi priscis additi sunt ab avaris ac perditis inventi' (Invero al gioco antico sono stati aggiunti quello delle carte e del fato e della divinazione inventati da uomini avidi e dissoluti), fu messa in relazione dal prof. Michael Dummett  con l’espressione “di nuova invenzione” citata dal Garzoni, attribuendo a quest’ultima il trattarsi di giochi nuovi rispetto a quelli in uso presso gli antichi (The Game of Tarot, London, Duckworth,1980, p. 389). Uno storico del Seicento che riportò la frase citata dal Garzoni, stilando un elenco di Trionfi copiato pressoché pedissequamente da quest’ultimo, fu Andreas Senftleben che nel De Alea Veterum (Lipsia, 1667) facendo comunque sempre riferimento all'opera del Volterrano indicata, scrive al Cap. XVIII: “De nova etiam Chartarum invenzione Volateranus ait, quod in illis scriptæ sint (Sulla nuova invenzione tuttora di carte, disse il Volterrano, che in esse siano scritte) Monetæ, Scyphi, Gladii, Caducei, X, IX, VIII, VII, VI, V, IV, III, [II mancante], I, Rex, Regina, Eques, Viator pedestris, Mundus, Justitia, Angelus, Sol, Luna, Stella, Ignis, Diabolus, Mors, Patibulum, Senex, Rota Fortunæ, Propugnaculum  [Invece di assegnare a questo Trionfo il nome della virtù della Forza, ovvero la Fortitudo, l'autore gli attribuì il significato di una struttura fisica, cioè una fortezza], Amor, Currus, Temperantia, Summus pontifex, Papissa, Imperator, Imperatrix, Minimus & denique Stultus” (pp. 237-238).

L’ipotesi di Dummett nell’interpretare la frase ‘di nuova invenzione’ come sopra spiegata, sembrerebbe a prima vista avere senso in quanto rispetto all’epoca in cui il Garzoni scrisse la sua opera i tarocchi erano conosciuti già da oltre centocinquant’anni. Ma poiché il Garzoni la scrisse riferendola al Volterrano, anche in questo caso Dummett sostenne l’impossibilità che i tarocchi fossero un gioco di nuova invenzione, in quanto nel periodo in cui nacque il Maffei, cioè il 1451, i tarocchi erano già presenti da almeno quindici anni e più. Figuriamoci quindi se fosse stata presa in considerazione la data della pubblicazione della sua opera, che avvenne nel 1506: i tarocchi erano già conosciuti da circa ottanta o novanta anni, cosicché non potevano essere di nuova invenzione.

In questa valutazione, Dummett non considerò che i tarocchi, come scrive il Garzoni sulla base del Volterrano, erano proprio di nuova invenzione, in quanto il Ludus Tarochorum surclassò quello dei Trionfi ovvero il Ludus Triumphorum verso la seconda parte o la fine del secolo XV, quindi al massimo una ventina d’anni prima della pubblicazione del libro del Maffei avvenuta nel 1506.

Poiché si trattava invero di un nuovo gioco di carte rispetto al precedente, l’asserzione del Garzoni nell’indicare i tarocchi ‘di nuova invenzione’ secondo il Volterrano, si trova in perfetta sintonia con le data di pubblicazione dell'opera del Maffei. Con l'espressione ‘di nuova invenzione’ sia nel medioevo che nel rinascimento si poteva far riferimento, in base alla pratica d'uso, a qualcosa ideata anche 20-25 anni precedentemente. Ma poiché nell’opera del Maffei il passo ‘di nuova invenzione’ pare non essere presente, Dummett formulò la sua spiegazione basandosi sulle ricerche compiute da Robert Steele sull’intera produzione libraria del Volterrano che negarono l’esistenza di quella frase, cosa che appare alquanto strana dato che l’espressione ‘di nuova invenzione’ risulta coerente con la nascita dei tarocchi.  Occorre dire che in quel periodo, come per tutti i secoli successivi, gli editori a volte potevano stampare pochissime copie di un libro per poi riprenderlo successivamente in più copie se avesse avuto il successo sperato. Se così fosse stato per il libro del Maffei, una di quelle poche copie potrebbe essere stata visionata dal Garzoni e quell’espressione tolta successivamente nella ristampa.

Per comprendere quanto qui descritto sul concetto di nuova invenzione in riferimento alla pratica d'uso, si veda Il Principe inventore del Ludus Triumphorum.

3. L’ordine descritto dal Garzoni riguardo i Trionfi corrisponde esattamente a quello citato nel Sermo perutilis de ludo. Si veda La Scala Mistica nel 'Sermo de Ludo'.

4. Tomaso Garzoni da Bagnacavallo, La Piazza Universale di tutte le professioni del Mondo, Venezia, Pietro Maria Bertano, 1638, cc. 316v-317r.
5. ‘I Gratiani, i Magnifici, i Zani’ sono personaggi della Commedia dell’Arte
6. Vale a dire che quegli studenti avrebbero dato il meglio di sé prima della festa, una volta mangiato e bevuto. 
7. Milano, Rizzoli, 1982. Traduzione Italiana, pp. 83-88 e 101-102.

8. Alfredo Cattabiani, Calendario. Le Feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Milano, Rusconi, 1988, p. 153.
9. Francesco Saba Sardi (a cura), Sebastian Brant, La Nave dei Folli, ‘Introduzione’, Milano, Spirali Edizioni, 1984.
10. Ibidem, p. 3.

11. Si veda Il Matto (Il Folle).

12. Francesco Saba Sardi, cit., pp. 92-93.

 

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