Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Le origini italiane del Ludus Triumphorum

 

di Paolo Aldo Rossi

 

Questo saggio, che pubblichiamo su autorizzazione del suo autore, è tratto dal volume Il Ludus Triumphorum o Tarot: carte d gioco o alfabeto del destino (a cura di P. A. Rossi e I. Li Vigni), pubblicato dalle Edizioni Nova Scripta nel 2011. Per informazioni sul volume si veda al link http://www.letarot.it/page.aspx?id=396

 

 

I primi documenti che parlano in Europa di carte da gioco vengono fatti risalire ad un probabile 1337 (i tre precedenti degli anni 1240, 1278, 1299 sono testimonianze “alquanto incerte”), ma per tutto il secolo successivo esistono prove (affermate con un minimo di garanzia storica) che dichiarano l’esistenza di un ludus cartarum o di un naibi, mentre nel XV secolo si nota ormai come le carte da gioco si siano imposte senza limiti nell’intera società occidentale, si ché le citazioni certe sono un profluvio.

 

Certamente né presso gli egizi, dove si praticavano il senet con le tessere (tasselli) e i dadi (monete), né presso i sumeri, dove si esercitava il tavoliere o “backgammon” (con la tavola, i dadi e le pedine), ossia la Tavola Reale (diventata in Grecia l’invenzione di Palamede all’assedio di Troia e a Roma il Ludus Duodecim Scriptorum, il ludus  latrunculorum, le tabulae lusariae), ma neppure in Grecia e a Roma esisteva qualcosa di simile alle nostre carte; c’erano gli astragaloi (gli aliossi, fatti con le ossa del tarso, oppure i sassolini, pentelitha) e i cubi, mentre i Romani giocavano con le aleae (vedi il Dieci), con i taxilli (un gioco d’azzardo con i dadi), con le tessarae (con 6 facce, da 1 a 6, o “tali”, con i valori 1, 3, 4, 6).

 

Non c’era nulla che potesse far pensare alle nostre carte, sebbene qualcuno abbia potuto pensare alle tesserae (in greco il kuboi, essendo formato da sei quadrati, o tessarágonos) ai colori dei semi che si davano alle pagine lusorie e alle mappe del grammatico Papia il Lombardo (Elementarium doctrinae rudimentum, XI sec.), un dizionario in cui sta scritto mappa etiam dicitur vel forma ludorum, cioè rappresentazioni grafiche in forma ludica; ma di questo tipo c’è il gioco dell’oca, l’egizio serpente e i cani e sciacalli, il Shing Kunt t'o, ovvero Promozione dei Mandarini, un gioco cinese che si svolge su un tabellone con 99 caselle o il Gioco Reale di Ur, ma anche il Terni Lapilli (il tris) e fondamentalmente le tesserae lusoriae romane (gioco di percorso con i dadi).

 

E’ Dante (1265-1321) nel Purgatorio canto VI – 1-9 a parlarci della zara (1) (dall’arabo zarh = dado) che si gioca con tre dadi: ogni giocatore nomina un numero da 3 a 18, quindi getta i dadi, vince chi per primo ottiene il punteggio pari al numero chiamato: "Quando si parte il gioco de la zara,/colui che perde si riman dolente,/repetendo le volte, e tristo impara; / con l'altro se ne va tutta la gente;/ qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,/e qual dallato li si reca a mente;/el non s'arresta, e questo e quello intende;/a cui porge la man, più non fa pressa;/e così da la calca si difende". 

 

Anche nel Medioevo, nei secoli prima di Dante, si parlava diffusamente di giochi d’azzardo e li si commentava: i dadi, il tric-trac, il gioco reale, la tabula, i taxilli … facevano parte della tradizione ludica aleatoria, ma non ci risultano assolutamente le carte. Giovanni Crisostomo (2):Non dat Deus ludere, sed diabolus” e Raimondo di Peñafort (1175-1275) un santo domenicano che aveva preso i voti a Bologna  scriveva nella Summa paenitentiae "De ludo aleae… teneas quod illi qui ludunt ad aleas vel taxillos, et qui ludo intersunt, vel sunt participes, vel inspectores ludi, peccant; et maxime si sint clerici" [Peccano coloro che giocano e anche chi sta a guardare oltretutto se sono ecclesiastici].

 

Francesco Petrarca (1304-1374), Giovanni Boccaccio (1313-1375), Geoffrey Chaucer (1340-1400), Franco Sacchetti (1332 -1400) … non parlano di un ludus cartarum o di naibi (le carte esistevano già dagli anni ’70 del 300, ma non avevano preso piede da diventare argomento di una novella). Tuttavia dal De aleatoribus dallo pseudo Cipriano (del III secolo) a Isidoro di Siviglia (560 – 636), nel libro XVIII delle Etymologiae, fino a Giovanni di Salisbury (1120-1180) nel Policraticus, a S. Bernardo (1090-1163) nel De laude novae militiae ad milites Templi per arrivare al Libro de los juegos di Alfonso X (1221-1284) non si parla mai di un gioco di carte, né per scopi d’azzardo né ad uso divinatorio.

 

L'argomento del silenzio o argumentum ex silentio è una conclusione basata sul silenzio o l’assenza di dimostrazioni opposte. Il fatto di non menzionare esplicitamente un evento o la mancanza di argomentazioni contrarie non è una prova che quel fatto non esiste (o che non può esistere). Dal punto di vista logico è accreditato come una fallacia del ragionamento sillogistico che deduce una conclusione da una premessa assente, cioè la verità o falsità di una proposizione dipende dalle prove che la sostengono o la confutano, e non dalla mancanza di esse, ma può essere considerato come argomento valido di un ragionamento storico che considera quali ragioni vi potrebbero essere che non c'è prova o prova diretta per qualcosa. L'argomento ex silentio dimostra soltanto che si comincia a parlare delle carte da gioco dagli anni finali del XIII agli inizi del XIV secolo e non che prima non esistessero le carte. Questo è il modo di lavorare dello storico e cioè su testimonianze accertate o in mancanza di queste – es. prima del 1300 non esiste o non compare alcuna menzione del documento (le carte da gioco) - usando l’espressione terminus ante quem (limite entro il quale) e terminus post quem (limite a partire dal quale), che è comunemente impiegata per fornire una datazione approssimata di un'opera, di un manufatto o di una struttura naturale. La conoscenza storica ha inizio solo quando entrano in gioco dei "testimoni" (i documenti che il passato mette a disposizione dello storico) ed un "esaminatore" che li sappia opportunamente interrogare. Senza le domande appropriate i testimoni rimarrebbero muti; senza testimoni i quesiti rimarrebbero irrisolti. Un testimone può essere preciso, inesatto, accurato, approssimativo, veritiero, bugiardo, fallace, fazioso, imparziale, obiettivo ..., la sua testimonianza può essere intenzionale, casuale, involontaria, accidentale, artefatta, mirata, progettata ... i modi e i mezzi della  trasmissione del "documento" possono essere svariati e diversi, come indefinitamente vari e differenti sono i canali e i supporti del comunicare. Comunque sia, la principale preoccupazione di uno storico è quella di far parlare i propri testimoni al fine di comprendere ciò che essi dicono. In buona sostanza, senza "documenti" non è possibile alcuna conoscenza storica.

 

Per quanto attiene la vexata quaestio dell'origine del "gioco" delle carte e principalmente dei Tarocchi, lo storico si trova nell'imbarazzante situazione di non avere, prima del XV secolo, alcuna apprezzabile testimonianza in merito all'oggetto della propria ricerca, ma - in compenso - si sente continuamente ripetere che le lamine dei Tarocchi sono il "libro sapienziale più antico del mondo", una sorta di liber mutus le cui origini si perdono nei più arcani recessi del tempo: l'epoca in cui Ermete-Thot insegnò le arti e le lettere agli egizi.

 

Da Antoine Court de Gébelin (1719-1784) – cioè dalla fine del XVIII secolo in poi - gli ambienti occultisti continuano ad attribuire al tarocco un'arcaica origine Egizia (Ermete Trismegisto) o Ebraica, facendone una sorta di "bibbia di sole figure", un vero e proprio testo rivelato contenente l'intera conoscenza sapienziale dell'umanità. Jean-Baptiste Alliette (1738–1791), ossia Etteila, afferma che il tarocco è un antichissimo libro sapienziale egizio; Alphonse Louis Constant (1810-1875), cioè Elifas Levi, trova la sua origine nel Tempio di Salomone, mentre Jean Alexandre Vaillant rinviene la sua origine fra gli zingari. Sarà Oswald Wirth (1860-1943) a sostenere l’origine medievale del mazzo (e con qualche ragione se vi aggiungesse “tardo” visto che per alcuni il medioevo finisce con il 1492). Ma un conto è dire queste cose leggendarie e fantastiche e un altro è dimostrarle storicamente, un conto è partire da quelle figure per elaborare una filosofia in generale sui segni e sui simboli e un altro è narrare una storia come ricostruzione del passato.

 

Una carta da gioco è normalmente una tessera quadrata o un tassello di forma cubica (tessaragònos indica il dare origine al quattro), rettangolare (in Cina dove sono lunghe strisce arrotondate agli angoli) o rotonda in Oriente (specie in India dove le carte del Moghul Ganjifa e il Dashavatara Ganjifa sono di forma circolare). Abbiamo parlato sinora di giochi con i dadi, con gli aliossi, con le tabulae e con le tessarae anche accanto a giochi di percorso, ma la smazzata non c’era nell’antichità (un mazzo di carte veniva fatto, tagliato, distribuito o spartito fra i giocatori), cioè ripartito fra gli scommettitori che partecipano alla giocata. Spartire e mettere in tavola le carte da gioco è qualcosa di unico come diventava indecifrabile e inspiegabile l’intera giocata (la fortuna, le virtù, le capacità, il talento, l’inclinazione…) tanto da farla apparire misteriosa ed enigmatica: "… lo cielo i vostri movimenti inizia;/non dico tutti, ma posto ch’i’dica,/ lume v’è dato a bene e a malizia,/e libero voler; che, se fatica/ne le prime battaglie col ciel dura,/poi vince tutto, se ben si notrica"  (3).

 

Le carte vengono distribuite secondo la “sorte”, ossia “fortuna” e “sventura” di chi le riceve, ma il gioco dipende anche dalla “bravura” e dalla “accortezza” di chiunque le manipoli e può rimettere tutto in discussione (4). Al pari delle stelle, astri inclinant, non necessitat, anche le carte sono un ludus che predispone, ma non obbliga.

 

Il domino (invenzione cinese del X secolo), che si svolge utilizzando 28 tessere a faccia in giù, è il più vicino ad una smazzata di carte, anche se le figure (puntini) sono quelle di un dado (da 1 a 6 con in più lo “zero pallini”). Il Sic Bo (assomiglia, ma solo esteriormente, al domino) è un gioco interamente di buona sorte scommesso con tre dadi, ma sta al giocatore scegliere a quale tipo di punteggio assegna la propria fortuna. Le prime carte cinesi (prima dell’invasione mongola) assomigliano al gioco da tavola del Domino utilizzando 28 tessere (non del tipo ad informazione completa, ma non casuale, come il confuciano Mahjong dove i giocatori ottengono punti dando origine ad appropriate combinazioni di tessere e eliminandole dal gioco, lo Xiangqi o gli scacchi dove la scacchiera è ordinata da 10 file orizzontali e 9 colonne verticali e le pedine sono collocate sulle intersezioni e il go in cui la tavola dotata di una griglia 19 × 19 giocano pedine bianche e nere); tutti questi giochi usano dei pezzi su una tavola opportuna e i Tartari contribuirono a diffonderle in Europa e nell’Islam. Ma alcuni di questi divertimenti o passatempi hanno un corso degli eventi calcolato e determinato, mentre i giochi di carte assomigliano ai dadi, dove molto del gioco è accidentale, fortuito e imprevedibile (5).

 

La parola kanjifah (giocare d’azzardo o az-zahr in arabo significa i dadi, che in latino era alea da cui aleatorio), non è parola originaria araba passata nell’Egitto dei Mammelucchi, ma deriva dal persiano ganjifah, gioco di carte, ganjifah-baz giocatore, ganjifa-saz una manifattura di carte (questo accadde dopo l'invasione della Persia da parte dei Selgiuchidi, nell'XI secolo, o da parte dei Mongoli, nel XIII secolo). Questo termine Ganjifeh passò all’India, da cui il Dashavtara Ganjifa, o Gânjaphâ, carte fatte in fibra di legno e corteccia di palma (bazâr kalam), ma anche edizioni di lusso in avorio o guscio di tartaruga con intarsi di pietre preziose, le darbar kalam (pagine del tesoro fatte di carta). 

 

A queste carte, che rappresentano i numerali dall’uno (asso o in greco eis) al 10, vengono aggiunti il Re, la Regina, il Cavallo e l’Alfiere (il fante) degli scacchi (eshecs, il gioco di strategia che deriva dal persiano Shah = re - shatranj in arabo spagnolo - dall’hindu o dal cinese xiangqi).

 

Ed è qui che incontriamo le carte arabe, le Mulûk Wa-Nuwwâb: malik (re), nā'ib malik (viceré) e thānī nā'ib (il delegato del re), ossia il mazzo dei mamelucchi (mamālīk) egiziani del XIV secolo che con queste tre figure conteneva 52 carte, numerali che formavano quattro semi: Jawkân (bastoni da polo), Darâhim (denari), Suyûf (spade) e Tûmân (coppe). Essendo un gioco islamico di guerra non c’è la regina (ovviamente) e mancano le raffigurazioni delle persone, ma i Mongoli islamizzati non davano troppo peso al divieto di rappresentazione della figura.

 

Più tardi dall’incontro di questi naibes o ludi chartarum (le carte diventano 56 perché si aggiungono le quattro regine) con le ventidue figure dei trionfi (il quinto seme del gioco) nasceranno i “tarocchi” in Italia nel territori compresi fra Milano, Ferrara e Bologna ai primi anni del Quattrocento.

 

Il primo documento storico del Duecento sulle carte da gioco in Occidente (facendo eccezione per quello del 1240 del Concilio di Worcester in cui al Canone 38 trattava del rege et regina [scacchi] e del guardarobiere di Edoardo I – Walter Sutton ad opus regis ad ludendum ad quattuor reges VII s. V d – [i quattro re a escac] ) è di Girolamo Tiraboschi (1731-1794) nella Storia della letteratura italiana in cui vengono citate le carte in un documento risalente al 1299, specificamente nel Trattato del governo della famiglia di Pippozzo del Sandro (conservato in un codice a penna da Francesco Redi, dove si legge: Se giocherà di denari o così o alle carte gli apparecchierai la via ...). Ma è scherzo o una burla, come ben sappiamo dalla Lettera intorno all’invenzione degli occhiali dove il Redi fa comparire ancora il Trattato di governo della famiglia di Sandro di Pippozzo, di Sandro Cittadino Fiorentino, fatto nel 1299, assembrato da Vanni del Busca, Cittadino Fiorentino suo Genero.

 

Das guldin Spiel (il gioco d’oro) editato a Asburgo da Gunter Zeiner nel 1472 dichiara che le carte furono utilizzate in Germania verso i primi anni del 1300. Ma facendo passare gli archivi dalla seconda metà del Duecento fino al Sinodo di Würzbourg del 1329 non si trova nulla, anzi venivano proibiti agli ecclesiastici vari ludi fra cui il ludus corearum (gioco delle danze copiato disgraziatamente come ludus cartarum): "Ludos alearum, corearum [cartarum], schacorum, taxillorum, annulorum et globorum monachis et monialibus prohibemus districte". 

 

La prima data quasi certa è quella di un passo degli Statuti dell’Abbazia di Saint-Victor a Marsiglia dell’anno 1337 in cui si dice "Quod nulla persona audeat nec presumas ludere ad taxillos nec ad paginas nec ad eyssychum".

 

Con qualche ragione (ma con questo solo documento) il noto filologo Charles du Fresne Signore du Cange (1610-1688) nel Glossarium Ad Scriptores Mediae et Infimae Latinitatis … dice che la “pagina” è il nostro gioco di carte e difatti egli scrive “Se non mi sbaglio questo ludus ad paginas sono le nostre folias lusoria (gioco dei fogli di carta)”. Ma che sia proprio così è una mera congettura. Come all’Abbazia di Monte Cassino si asserisce, in un documento del 13 maggio 1371, di un certo ludus cartarum di cui non si sa nient’altro.

 

Il 25 marzo del 1375 un documento dei priori di Firenze proibisce il gioco  delle carte dicendo: "… volendo combattere i cattivi principi … avendo sentito dire che un certo gioco detto naibe ha preso piede in tutta la regione…" (6).

 

Ma sono le Croniche e l’Istoria di Viterbo (7) che sono chiarissime: la prima, il cui autore è Nicola della Tuccia, annota per l’anno 1379 “Fu recato in Viterbo il gioco delle carte da un saracino chiamato Hayl” (dove Haik significa semplicemente armeno - Hayastan, traducibile come "la terra (stan) di Haik"), la seconda, è una variante in un altro manoscritto dello stesso autore: “il gioco delle carte che in saracino parlare si chiama nayb”, la terza di Giovanni Covelluzzo che scrive che “il gioco delle carte che venne da Sarracinia e chiamasi tra loro nayb”. Ma quale parte della terra dei “saraceni”, in nord dell’Africa o in oriente? Propendiamo per l’Armenia che sta in mezzo fra la Turchia e la Persia; il termine saraceno sharqiyyùn  significa "orientali" (ma anche figli di Sara per mettere il punto che non erano ismaeliti, cioè figli di Hàgar, "che vivono nelle tende" o nomadi).

 

A questo punto bisogna dire che le carte da gioco non sono un’invenzione europea ma sicuramente “orientale” (persiana o indiana o cinese). Il mazzo di 52 carte con le figure (re, vicerè e delegato) e i 40 numerali (dall’uno al 10) per i quattro semi: Dirahm (da Dracma, denari), Suyûf, le scimitarre, Jawkân, i bastoni da polo e Tûmân le coppe (una miriade di) sono le cosiddette carte dei Mamelucchi, Mulûk Wa-Nuwwâb, tre mazzi incompleti custoditi nel Museo Topkapi di Istanbul (Turchia) e databili intorno alla fine del 1200 e i primi del 1300. Ricordiamo che l’inventario dei beni di Luigi di Valois (fratello di re Carlo VI di Francia) e di sua moglie Valentina Visconti (figlia maggiore di Gian Galeazzo e sposati nel 1389) si trova “ung jeu de quartes serrarines” (un gioco di carte saracene) o un mazzo di “carte di Lombardia” che essa recò con sé e i vari elenchi compilati a Barcellona tra il 1414 e il 1460 includono sempre jochs de naips moreschs.

 

Il primo documento contenente la parola naips (naibe, naipes, nayb, nuwwâb …) è il Diccionari de rims del poeta catalano Joanne March nel 1370 (e forse si parla di carta da gioco nel Llibre de dones di Francesc  Eiximenis dello stesso anno). In seguito comparvero nel 1371 in Catalogna, nel 1375 a Firenze, nel 1377 a Siena, nel 1379 a Viterbo, nel 1380 a Barcellona e nel 1384 a Valenza … e tutti come “un nuovo gioco recentemente introdotto in queste contrade” o “nuova gioco” .

 

Ma la serie di carte europeo più antica è il mazzo chiamato “Italia 2” (rinvenuto a Siviglia ma sicuramente proveniente dall’Italia del Nord Est, ora al Museo Fournier di Alava nei Paesi Baschi) e datato tra il XIV e XV secolo. Di qualche anno più tardi i due fogli non tagliati stampati da matrici di legno che si trovano nell’Instituto municipal de Historia a Barcellona (1410), la serie di carte da gioco venatorie del Landesmuseum di Stoccarda, lo Stuttgarter Kartenspiel, appartenne ai duchi di Baviera ed è datata intorno al 1430 e il mazzo di caccia Ambraser del Kunsthistorisches Museum di Vienna.

 

Nel Tractatus de moribus et disciplina humanae conversationis (Basilea 1377) il frate domenicano Johan, detto di Rheinfelden, raffigura e descrive minuziosamente vari mazzi di carte, ma la copia compilata è del 1429 (8). Il mazzo è di cinquantadue carte, uguale al mazzo mamelucco e a quelli di na’ib o moreschi e frate Johan si è scordato di rappresentare i quattro segni, ma si è ricordato di mazzi contenenti Regine al posto dei Re, o due Re e due Regine con i loro marescialli .., e questo nel 1429, anno della trascrizione, quando il gioco aveva un consenso di pubblico eccezionale e aveva notizia già di molte varianti al mazzo.

 

E difatti nel 1423 Bernardino da Siena spiegò pubblicamente a Bologna con una predica quaresimale contro i giochi la sua avversione contro le carte da giuoco e dopo il suo discorso la gente prese i dadi, le tabelle da tavola reale e i naibes davanti alla chiesa di San Petronio e ne fece un gran falò, ma non fa alcun cenno ai triumphi. Egli nomina però sia reges atque reginae che milites superiores et inferiores in relazione alle carte da gioco, dimostrando di conoscere mazzi con quattro figure per seme. E nel 1425 fece bruciare a Perugia (9) “fra la fonte de piaza e il vescovato” le vanitates fra cui i “tavolieri, carti, dadi et facce contraffatte et simil cose brieve incante” (i filatteri o brevi come credenze popolari per ottenere la vittoria nel gioco d’azzardo) (10).  

 

Se pensiamo che un nuovo gioco dei naibbe (noviter innolevit di recente, qualche anno prima del 1375) introdotto importato e diffuso a Bologna e a Firenze, già nel 1429 ha avuto in tutta Europa un successo sconvolgente. Nel Libro di Provvigioni Fiorentine nel 1376 vengono denunciate applicabili al nuovo gioco dei naibi le imposizioni fiscali (11). Il Prefetto di Parigi nel 1377 e nel 1380 a Lille proibisce di giocare a carte nei giorni lavorativi e ugualmente nel 1378 a Regensburg, nel 1384 a Nuremberg, nel 1388 a Costanza e nel 1389 a Zurigo, nel 1391 ad Augsburg, nel 1397 a Ulm, viene emesso un divieto contro i giochi di carte.


Nel 1392 nel registro dei conti di Claude Poupart, tesoriere di Carlo VI, è citato il pagamento a Jacquemin Gringonneur di 56 soldi parigini (56 sols Parisis) per l'acquisto di tre mazzi di carte con oro e diversi colori, per divertimento  del Re (12), ma si tratta di un mazzo italiano. Nella cronica di Ricordano Malespini si legge: "non giuocare a zara, né ad altro giuoco di dadi, fa giuochi che fanno i fanciulli: agli aljossi, alla trottola, ai ferri, a' naibi, a coderone, e simili, anche in compagnia lata, e corri lancia, e fa altri simili giuochi, che addentano persona, e richieggonli a' giovani-, alle nozze, alle feste … e cacce alcuna volta, ma non perseverare in quello" (13).

 

Ma a Bologna nel 1405, il cardinale Baldassarre Cossa assoggettò a dazio le carte da zugare e i naibi. Nel 1410 a Campi Bisenzio venne stabilita in dieci soldi la multa per chi giocava a naibi. Nel 1423, "adi VIIII de octobre Giovani Bianchin de havere per uno paro de carte da VIII imperadori messe d'oro fino che elo fé vegnere da Fiorenza per Madona Marchexana (Parisina Malatesta), le quale have Zoexe famio de la dicta dona; costono fiorini 7, nove, e per spexe da Fiorenza a Ferrara soldi 6 de bolognini; in tuto valgono ..... L. XIIII.VI. de bolognini".

 

E da questi anni è una vera e propria alluvione di testi … Si finisce con il notissimo Sermo perutilis de ludo cum aliis del 1450-1500 (14) che parla di tarocchi o meglio di Ludus Triumphorum "quis invenit ludum? Respondeo quod tria sunt genera ludorum fortunae, viz.: Taxillorum, Cartularum, et Triumphorum. Que omnia secundum Thom. &c. et multos alios, a dyabolo inventa sunt" (Chi inventò il gioco? rispondo che ci sono tre tipi di gioco d'azzardo: i dadi, le carte ed i trionfi. Tutti questi, secondo san Tommaso ed altri, sono stati inventati dal diavolo)

 

Il Ludus Triumphorum è indubitabilmente un’invenzione italiana se si prendono le testimonianze storiche, ideazione contro la quale il frate minore osservante, Bernardino da Feltre tuonava: “Porta, porta omnia lusoria, noli tenere diabolum in domo” e il Sermo continuerà a parlare con veemenza  "Questo è il gioco in cui non solo vengono insolentemente nominati Dio, gli angeli, i pianeti e le virtù cardinali, ma sono costretti ad entrare in gioco anche il Papa e l'Imperatore, con massima indecenza dei cristiani" (15).

 

Ma perché è tanto peggio del gioco dei dadi e delle altre carte? Vi è qui la più antica lista conosciuta dei ventidue trionfi completi, che diventeranno classici: "I 21 trionfi sono i gradini della scala che porta agli inferi più profondi. Il primo si chiama il Bagatella, che è inferiore a tutti. 2, Imperatrice. 3, Imperatore. 4, La papessa (misero chi nega la fede cristiana). 5, il Papa (o pontefice, che questi ribaldi fanno loro capitano quando invece rappresenta ogni santità). 6. La temperanza. 7, l'Amore. 8. Il carro trionfale (o mondo piccolo). 9. La fortezza. 10. La rotta (cioè regno, regnai e son senza regno). 11 Il gobbo. 12. L'impiccato. 13, La morte. 14, Il diavolo. 15, La saetta. 16, La stella. 17, La luna. 18, Il sole. 19, L'angelo. 20, La giustizia. 21, Il mondo (cioè Dio padre). 0, Il matto, o il nulla (nisi velint)", e non è soltanto perché "Ogni dado ha ventun punti (6+5+4+3+2+1) consacrati al diavolo. Questi ventun punti sono i ventun gradini che scendono all'inferno. Ogni dado ha sei facce, sei stanze dove ci sono questi gradini, che sono i ventun giochi d'azzardo, che sono demoni" (16) ma si era trasformato un gioco d’azzardo in una bestemmia. Non erano persone che, durante il gioco d'azzardo, hanno impreziosito la competizione con esclamazioni per niente lodevoli nei confronti del Padreterno, dei santi e della Madonna, ma lo stesso gioco che era blasfemo, cioè si aggiungeva il vizio del giocare d’azzardo (peccato contro la morale pubblica) in offesa contro Dio (il peggiore dei pervertimenti) non personale ma sociale. I ribaldi bestemmiatori e giocatori d’azzardo che “neque laborant ne orant” (17) sono l’esatto contrario della regola benedettina (o se si vuole cristiana), ossia pregare e lavorare, non come quel mascalzone di Cecco Angiolieri che dice "Tre cose solamente mi so in grado, le quali posso non ben men fornire: ciò è la donna, la taverna e il dado; queste mi fanno il cuor lieto sentire" o uno di quei clerici vagantes, ad esempio l’Estuans intrinsecus dell’Archipoeta di Colonia, in cui il ludus è addittura nella messa. Come è detto nel Concilio di Treviri del 1227: "Item praecipimus ut omnes sacerdotes non permittant truttannos et alios vagos scholares aut goliardos cantare super Sanctus et Agnus Dei aut alias in missis vel in divinis officiis" (18).

 

L’azzardo porta al disordine sociale poiché consente un via vai di denaro incontrollato fra diversi ceti sociali, la rovina per alcuni e l’arricchimento per altri; inoltre l’azzardo porta con sé la bestemmia, la gestualità impulsiva e infine la perdita di tempo.

 

Ma un gioco che aveva in se stesso le satire (caricatura, parodie, derisioni scherno … ) più odiate da Dio, ossia tutto ciò che è cum maximo de decore Christianorum, ossia il massimo della perversione, della degradazione morale, del vituperio contro Dio, non può essere stato inventato dalla classe nobiliare per passatempo e per la divinazione, né da quella popolare che non aveva mezzi per un mazzo miniato, ma aveva il vizio del gioco d’azzardo e peccava contro il comandamento di non nominare invano il nome di Dio (19).

 

Bernardino da Siena nel Alearum ludo afferma che “quia ludus est blasphemia fons … haeresia dici potest” (20) e l’eresia è il massimo peccato per il medioevo, punibile con la morte sul rogo (21); e Tommaso d’Aquino che aveva detto 'Ludus (il gioco) est necessarius ad conversationem humanae vitae' (la condotta) (22) non era certo dello stesso parere con l’eresia (e anche con i bestemmiatori e giocatori di taverna).

 

Chi abbia inventato i tarocchi: non sappiamo neppure se sia stata la nobiltà, oppure il ceto popolare o qualcuno di abbastanza istruito da trasformare il sapere dei dotti in qualcosa  di tradizionale, diffuso e tramandato per la gente, sappiano solo che avvenne nell’area fra Milano, Bologna, Ferrara in una data che va dal primo decennio alla meta del XV secolo

 

Il primo mazzo di trionfi noto, da fonti documentarie, fu commissionato da Filippo Maria Visconti (diventato duca nel 1412) a Michelino da Besozzo, ma pensato ed eseguito dal suo segretario Marziano da Tortona (Marziano de' Rampini da S. Aloisio, morto nel 1425). Pier Candido Decembrio (1392-1477), letterato e politico, ci ha lasciato una biografia, la Vita di Filippo Maria Visconti, duca di Milano dal 1412 al 1447, che ci informa di come talvolta il duca e la sua corte inventassero nuovi giochi e nuovi mazzi (anche dal pezzo inusitato e insolito).

 

Tra il 1415 ed il 1420, il duca commissionò a Marziano da Tortona, che era un ecclesiastico erudito cultore dei classici e dell’astrologia, un mazzo di nuova concezione. Ricordiamoci che Filippo Maria Visconti - nel 1420 - proibì qualsivoglia giuoco delle carte, quando non fosse realizzato secondo il corretto e antico apparato. In questo mazzo (23), le carte numerali erano divise in quattro semi: aquile, falconi (o fenici), colombe e tortore (nei paesi tedeschi cuori, campanelli, foglie e ghiande con un quinto, gli scudi dipinti con scene di caccia, che sostituiscono rispettivamente in Italia coppe, denari, bastoni e spade e in Francia cuori, quadri, fiori e picche, in Inghilterra i bastoni da polo, gli Jawkân mamelucchi diventano i club e i denari sono chiamati diamonds). Nei mazzi tedeschi, carte di proprietà dei duchi di Baviera e datate circa 1430 vi sono Anatre, Falconi, Cani e Cervi e in quelle del mazzo di caccia Ambraser vi compaiono Aironi, Falconi, Cani e Piumagli. Nel mazzo allegorico di Marziano ogni seme era guidato da quattro carte rappresentanti divinità classiche: le aquile erano comandate da quattro virtù: Giove, Apollo, Mercurio, Ercole, i falconi (o le fenici) da quattro ricchezze: Giunone, Nettuno, Marte, Eolo, le tortore da quattro castità: Diana, Vesta, Pallade, Dafne, e infine le colombe da quattro piaceri: Venere, Bacco, Cerere, Cupido. Era insomma un mazzo didascalico, educativo, dottrinale e allegorico, metaforico, simbolico … oppure fatto per giocare e divertirsi? Ben sapendo che Filippo Maria Visconti e sua figlia Bianca Maria, Francesco Sforza ed Ercole e Sigismondo d’Este … erano giocatori infaticabili la teoria dei trionfi come di un gioco edificante non ci convince. E poi che dire di quel quoddam et exquisitum triumphorum genus novum

 

Jacopo Antonio Marcello che nel 1449 così lo definisce facendone dono a Isabella di Lorena ossia un genere nuovo di trionfi … evidentemente ne esistevano di più vecchi. L’indizio ferrarese, è nel libro estense delle Provvigioni, è del 1 gennaio 1441 (24) e, quindi, precedente a quello notissimo (Maistro Iacomo depentore dito Sagramoro de avere adi 10 fiebraro per sue merzede de avere cho(lo)rido e depento.... 4 para de chartexele da trionffi, ... le quale ave lo nostro Signore per suo uxo...”) (25) del febbraio del 1442. Dice “... a Magistro Iacopo de Sagramoro depintore per XIIII figure depinte in carta de bambaxo et mandate a Madama Bianca da Milano per fare festa la scira de la Circumcisione de l'anno presente...”. La quindicenne Bianca Maria, figlia di Filippo Maria, era ospite dagli Estensi dal settembre del 1440 e trascorse il Capodanno a Ferrara dedicandosi perlopiù al gioco dei trionfi. E i suoi ospiti decisero di regalarne XIIII figure. E perché quattordici figure e non un intero mazzo? Perché sono le carte da aggiungere al mazzo tradizionale, un nuovo seme da trionfi di quattordici pezzi equivalente agli altri quattro semi ordinari. Anche il mazzo originario milanese era, a nostro avviso, di quattordici trionfi e gli undici trionfi pervenutici sono: Mondo, Angelo, Morte, Carro, Carità, Speranza, Fede, Fortezza, Amore, Imperatore, Imperatrice e mancano la Giustizia, la Temperanza; la Prudenza (assente da tutti i mazzi e le tre virtù teologali che non vi saranno negli altri mazzi sostituite dalla Giustizia e dalla Temperanza). E’ Tommaso d’Aquino a discutere della Prudentia (26) divisa in otto parti memoria, ratio, intellectus, docilitas (attitudine ad apprendere), solertia (destrezza) providentia (previdenza), circumspectio (avvedutezza), cautio  precauzione) che a ben vedere sono le virtù di un ottimo giocatore. La prudenza (intelligenza nel discernere il vero del mondo reale circostante in modo accorto e preciso ed spinge la ragione a riconoscere in ogni condizione il nostro vero bene, scegliendo i mezzi adatti per compierlo) ha un ruolo superiore sulle altre virtù ed è denominata da Tommaso: "Auriga Virtutum" (27) o l’auriga  delle virtù (e la carta sarà evidentemente il Carro mancando da tutti la Prudentia). In omnibus virtutum moralibus motor est ipsa prudentia quae dicitue Auriga Virtutum.

 

Ora i Mazzi Milanesi che sono: 1 BBV Brera-Brambilla Visconti di Modrone - 48 soggetti rimasti (2 trionfi, 7 figure, 39 carte non figurate) 2 CYV Cary-Yale Visconti - 67 soggetti rimasti (11 trionfi, 17 figure, 39 carte non figurate) 3 PMBVS Pierpont-Morgan Bergamo Visconti-Sforza (Pierpont-Morgan Library Accademia Carrara di Bergamo col leoni) - 74 soggetti rimasti (20 trionfi, 15 figure, 39 carte non figurate)

 

E i Mazzi Ferraresi sono: 1 CA - Tarocco di Alessandro Sforza duca di Pesaro (1445-73), 15 soggetti superstiti attualmente conservate presso il Castello Ursino, a Catania 2 CVI - Tarocco di Carlo VI (1368 –1422) di Francia 17 soggetti superstiti conservati in Francia, presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. Ma il mazzo è della seconda metà (1460) del XV secolo e di chiara mano ferrarese 3 EE - Tarocco di Ercole I d'Este duca di Ferrara (1431 –1505) 16 soggetti superstiti della Cary Collection, presso la Biblioteca dell'Universita di Yale, New Haven (Stati Uniti), 4 RS - Tarocco Rothschild 17 soggetti superstiti della Collezione Rothschild del Museo del Louvre, a Parigi stampato in xilografia sui tre fogli Rosenwald, non tagliati.

 

Il 28 luglio 1442 (28) la corte di Ferrara pagò il bolognese Marchionne Burdochi, merzaro, cioè merciaio per la fornitura di “uno paro de carte da trionfi; ave Iacomo guerzo famelio per uxo de Messer Erchules e Sigismondo frateli de lo Signore” (un paio di carte di trionfi; custodite dal famiglio guercio Giacomo per l'uso di Messer Ercole e Sigismondo, fratelli del Signore). 

 

Un ulteriore documento ferrarese datato al 21 luglio del 1457, riporta la seguente informazione: “Maestro Girardo de Andrea da Vizenza dipintore de avere adi 21 de luglio ... de avere depinto para due de carte grande da trionfi, che sono carte 70 per zogo”, cioè 14 carte per i semi e 14 trionfi.

 

L’11dicembre 1450 (Kaplan riporta una lettera di Francesco Sforza), a "Antonio Trecho texaurario, Voliamo, subito recevuta questa, per uno cavallaro ad posta, ne debbi mandare doe para de carte de triumphi, della piu belle poray trovare; et non trovando dicti triomphi, voglie mandare doe altra para de carte da giocare, pur delle piu belle poray havere".

 

Un documento del 1427 riferisce che Giovanni da Colonia, fabbricante di “cartesellas depictas ad ludendum”, ruppe una brocca d’acqua in testa al fornitore Zohane da Bologna, fabbricante di carta. Ma qui non si parla di trionfi e quindi non sappiamo se è un tarocco. Un “donzello” (servente) del Podestà di Bologna, certo Floriano (29), venne accusato di furto da Bindo da Prato. Messo ai tormenti l’indiziato confessò e la susseguente perquisizione nella sua casa portò alla scoperta di unum par cartarum a triumphis.

 

Ad esempio un certo miniatore Antonio di Bologna, un artigiano indocile, venne messo sotto processo già nel 1391 (30) dall'autorità civile con l'incriminazione di aver fatto violenza contro un certo Pietro, durante una partita ai dadi; inoltre viene perseguito dall'inquisitore per aver bestemmiato ripetutamente "E nol porave dio che no Vincisse uno cuogo”: queste frasi, tuttavia, sono quelle relative all'inizio del gioco, al momento in cui ci si appresta a lanciare i dadi o tirare le carte, ma è nella fase successiva che la fantasia blasfema si scatena: quando, tirati i dadi, la sfida a Dio non ha dato il frutto sperato ed il punteggio risulta sfavorevole al giocatore Antonio che bestemmia: “Puta de la virgine Maria” (31), alla fine il miniatore deve offrire un cero a S. Maria del Monte, presso cui deve recarsi una volta al mese, per un anno di seguito.

 

Bologna è la più grande e famosa città universitaria del mondo occidentale: scuole di giuristi, di "artisti e di teologi (e nel XV secolo si istituiscono anche insegnamenti di greco e di ebraico) attirano da tutta Europa una moltitudine di studenti creando intorno a questi un indotto culturale ed economico formidabile per cui alla obbligatorietà dello studio si accompagnano il gusto della trasgressione, ma non vi erano soltanto le taverne dove queste cose perdunt hominem: vinum, femina, tesserae, ma il cambiamento e l’innovazione specie con i nuovi mezzi di comunicazione e principalmente l’uso della stampa (32). Bologna necessitava di produrre testi copiati a mano per le sue migliaia di studenti e il processo di riproduzione e preparazione di numerosi fogli in un volume avviene con l'arrivo della carta che abbassò notevolmente i costi di produzione del libro (33). Nel 1293 la filiera produttiva dell’ingegnosa città emiliana venne compiuta con la creazione di cartiere locali e la riproduzione meccanica cominciò a concretizzarsi con la silografia (intorno alla metà del Trecento). Gli artigiani italiani erano ormai pronti a produrre carte da gioco fin dal loro arrivo in Italia (1370 circa) e la produzione seriale trecentesca di testi sacri e di figure di santi sono molteplici. Alcuni nuclei produttivi, come Bologna, avevano ampliato le tecniche di produzione seriale, con uso più o meno intenso della silografia e delle maschere di colorazione. Nel 1405 a Bologna le carte da gioco furono sottoposte a dazio, criterio di valutazione che ci dimostra che a quella data la produzione bolognese dei mazzi era già significativa (nel 1438 gli Estensi di Ferrara acquisirono un torchiolo per produrre carte di corte e la Serenissima proibisce l’importazione di figure stampate e colorate).

 

Non è impossibile che a Bologna, dove erano già in azione torchi da stampa di xilografie e le prime calcografie, non si pensasse a delle carte da gioco stampate; il mazzo "Italia 2" (databile intorno al 1400) stampato a xilografia su carta spessa, per poi essere colorato a mano, può ricondursi al nord-est dell’Italia. Quindi possiamo dire che nei venti anni passati dalle “carteselle” e “dai naibi” o carte moresche stampate era giunto il tempo che qualcuno mettesse in campo i triomphi:

 

Un dipinto su tela vede ritratto in piedi, accanto ad un tavolo da gioco, il Principe Francesco Antelminelli Castracani Fibbia ((1360-1419), e su questo sono poste alcune carte di tarocchino bolognese. Alcune carte sono sul pavimento ed altre rappresentate nel momento in cui cadono dal tavolo. Sotto il dipinto, sono riportate le seguenti parole:

 

Francesco Antelminelli Castracani Fibbia, principe di Pisa, Montegiori, e Pietra Santa, e Signore di Fusecchio, filio di Giovanni, nato da Castruccio duca di Lucca, Pistoia, Pisa. Fugito in Bologna datosi a Bentivogli, fu fatto generalissimo delle arme bolognese, et il primo di questa famiglia che fu detto in Bologna dalle Fibbie, ebbe per moglie Francesca, filia di Giovanni Bentivogli

 
Inventore del gioco del tarocchino di Bologna. Dalli XVI Riformatori della città ebbe il privilegio di porre l’arma Fibbia nella regina di bastoni e quella della di lui moglie nella regina di denari. Nato l’anno 1360 morto l’anno 1419.

 

“Se il principe Fibbia ha avuto qualcosa a che fare con il gioco dei Tarocchi, - dice Michael Dummett in Il mondo e l'angelo. I tarocchi e la loro storia - di gran lunga più probabile che fosse l'inventore, non della variante bolognese del gioco, ma del gioco stesso, la cui origine dovrebbe in tal caso essere anticipata a prima del 1420”. 

 


 

Note 


1 - Dall’arabo as-schàr o az-zahr  (in francese è hazard, in spagnolo azard e in provenzale azar) che vuol dire dado da gioco.

2Homilia 6 in  Matthaeum (PG 57, col. 70)

3 - Dante, La Divina Commedia, Purgatorio, Canto XVI, vs 66-67.

4 -  Giochi di presa (briscola o scopa) o di combinazione (il poker o il ramino) o ibridi (il tarocco o il gioco del cucù, i trionfi Sola Busca, uomo nero ...)  o indovinare la carta quali molti giochi d’azzardo come il famoso faraone.

5 - Si può giocare a poker con dadi in cui sulle facce, al posto dei numeri, sono disegnate le carte (Nove, Dieci, Fante, Donna, Re, Asso).

6Volente malis obviare principis, domini priores audito quomodo qidam ludus qui vocantur naibbe, in istis partibus noviter innolevit…

7 - Ne sono state pubblicate due. Quella di Fra Francesco D'Andrea da Viterbo fu curata da Francesco Cristofori e pubblicata in Archivio storico per le Marche e per l'Umbria, VoI. IV, Foligno, 1888, pp. 261-338. Quella di Niccolò Di Niccola della Tuscia fu curata da Ignazio Ciampi e pubblicata in Cronache e Statuti della Città di Viterbo, Firenze, 1872. La terza, di Giovanni di Juzzo di Covelluzzo, sopravvive in forma manoscritta, ma non è stata pubblicata. Il passo che ci interessa, tuttavia, è stato citato da Feliciano Bussi nel suo Histo­ria della città di Viterbo del 1742. Si veda anche Pietro Egidi, "Relazioni delle chroniche Viterbesi del secolo XV tra di loro e con le fonti", Scritti vari di Filologia, Saggi in onore di Ernesto Monaci, 1901.

8 -  Ludus qui ludus cartarum appellantur hoc anno ad nos pervenit, scilicet anno domini MCCCLXXVII (1377).

9 - Diario del Graziani “Arch. Stor. Ital.” XVI 1, 1850,

10 - “O così anco colui che dice: «Oh che bisognava ardere i tavolieri? Elli bastava a levar via il gioco senza ardarli, e conduciare che chi giocava, si rimanesse [astenesse] di quello e d’ogni suo malfare». Tu dici: - Oh si giuoca in segreto! - Io ti domando se tu ha’ memoria di quello che io ti dissi. Io so’ bene ch’io non t’ho detto che tu arda e’ tavolieri, e poi giochi; so’ io ch’io ti dissi, che tu ti rimanesse del gioco, che non n’è boccone di buono; e perché non te ne venisse voglia, che tu ardesse e’ tavolieri e l’altre cose che ti davano cagione di giocare”. Quaresimale Siena 1427, pred. XXV, 50. A. Rizzi, Il gioco fra norma laica e proibizione religiosa: l'azione dei predicatori fra Tre e Quattrocento, in AA.VV., «Gioco e giustizia nell'Italia di Comune», a cura di G. Ortalli, Roma, 1993, pp. 149-82

11 - Ludovico Zdekauer, Il gioco d’azzardo, op. cit., pag. 61 “sicut luderet ad zardum”.

12 - Citato da Abbè Menestrier S. J. C. F. Bibliothèque curieuse et instructives de divers ouvrage ancient et modernes …,Trèvoux, 1704. T. II, pag. 179, 2 vol, che lo prende per il documento di invenzione delle carte.

13 -  Istoria fiorentina. Coll'aggiunta di Giachetto Malespini e la Cronica di Giovanni Di Paolo Morelli che 1393 iniziò la stesura dei Ricordi - curati da G. G. Tartini e S. Franchi, Firenze 1718, pag. 270.

14 - Robert Steele (a cura di), Sermo perutilis de ludo cum aliis,Archaeologia or Miscellaneous tracts relating to antiquity, pubblicata dalla Society of Antiquaries of London vol. LVII (1900) = Second series vol. VII (1900). A notice of the ludus triumphorum and some early Italian card games: with some remarks on the origin of the game of cards / by Robert Steele "A manuscript volume of sermons, now in my possession, written circa 1450-1470. contains a passage of some importance for the history of card games. It occurs in a sermo perutilis de ludo, under the sub-heading Ludi Inductio, f. 208".

15De tertio ludorum genere, scilicet triumphorum. Non est res in hoc mundo quod pertineat ad ludum tantum Deo odibilis sicut ludus triumphorum. Apparet enim in eis omnis turpitudo Christiane fidei ut patebit per ipsos discurrendo. Nam dicuntur triumphi, sic, ut creditur, a dyabolo inventore intitulati, quia in nullo alio ludo ita triumphat cum animarum perditione, sic in isto. In quo non solum Deus, angeli, planete, et virtutes cardinales vituperose ponuntur et nominantur, verum et luminaria mundi, scilicet Papa et Imperator, compelluntur, quod absurdum est, cum maximo dedecore Christianorum, in ludum intrare.

16 - Qui quidem taxillus habet 21 punctos dyabolo consecratos. Qui quidem puncti 21 sunt gradus unius scale descendentis in inferum. Et nota quod quilibet taxillus habet 6 stantias: in quibus collocati sunt isti gradus; qui designant 21 ludos fortunae quibus utitur lusor, et sunt nomina demonum. 

17 - Salimbene, Cronica, a cura di F. Bernini, Bari, 1942.

18 -  Ed. Hilka & Schumann 1930-1941-1970 n° 191, vv. 13-14 e 37-40.

19 - Raniero Orioli, Bestemmie e gioco d’azzardo, Abstracta, 46, pag. 48 Si tratta di un quaderno di carta contenente atti processuali relativi agli anni 1387-1392, oggi conservato nella Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio bolognese che contiene atti contro bestemmiatori per gioco (quasi per la metà), ma non si non si parla di trionfi né di carte normali Per i Processi inquisitoriali: Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Ms. B 1858.  Per i processi civili: Bologna, Archivio di Stato, Curia del Podestà, libri Inquisitionum.

20 - Opera Quae Extant Omnia: vti eorum omnium Elenchus indicabit. Tertium Opus Sermonum appellatum, Volume 3  Sermo XLII Di Bernardinus (Senensis), Pietro Ridolfi, pag.  311.

21 - “...[haeresis] est peccatum per quod [haeretici] meruerunt non solum ab Ecclesia per excommunicationem separari, sed etiam per mortem a mundo excludi. Multo enim gravius est corrumpere fidem, per quam est animae vita, quam falsare pecuniam, per quam temporali vitae subvenitur. Unde si falsarii pecuniae, vel alii malefactores, statim per saeculares principes iuste morti traduntur; multo magis haeretici, statim cum de haeresi convincuntur, possunt non solum excommunicari sed et iuste uccidi”. S. Tommaso, Summa Theologiae, Secunda Secundae, q. 11, a. 3.

22 -  S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, II II 168, 3 ad 3.

23 - Ricomprato da Jacopo Antonio Marcello che nel 1449 ne fece dono a Isabella di Lorena, moglie di Renato d’Angiò. Nella lettera di accompagnamento, Marcello definisce il mazzo quoddam et exquisitum triumphorum genus. novum

24 - E’ il documento pubblicato da Adriano Franceschini in Artisti a Ferrara in età umanistico e rinascimentale, Testimonianze archivistiche, vol. I, Dal 1341 al 1471, 1993, Corbo, Ferrara-Roma 1993.

25 -  Il 10 febbraio del 1442 troviamo presso la corte estense un ordinativo di “pare uno de carte da trionfi”; lo si vede nel capitolo III dei Registri dei Mandati e nel Registro di Guardaroba vennero annotate quattro paia di carte da trionfi.

26 -  S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologia, II II 18 De partibus prudentiae.

27Supplementum tertiae ,2, 4, c e .

28 - Registro di Guardaroba, 4, Conto di Debiti e Crediti, 28 luglio 1442, carta 135. Archivio Estense, Modena.

29 - E. Orioli, Sulle carte da giuoco a Bologna nel secolo XV, «Il libro e la stampa», anno II, 1908, pp. 109 -119, p. 112.

30 -  Raniero Orioli. Op. cit.

31 - G. Ungarelli-F. Giorgi, Documenti riguardanti il giuoco in Bologna nei secoli XIII e XIV, "Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie di Romagna" serie III, Il (1894) 360-410.

32 -  Albano Sorbelli, Un'antica stamperia di carte da giuoco, Gutemberg- Jahrbuch, 1940, pp. 189-97, alle pp. 192-3.

33 - Bisogna attendere fino al 1276 per la fabbricazione della prima carta di stracci a Fabriano dove nella pasta di carta, ottenuta con le molazze che la battevano (feltro-fautrer da schiacciare, gualcàre), veniva immerso un telaio e posta ad asciugare. Il Veltro è  la personificazione  allegorica di un protagonista destinato a liberare l'umanità (forse la carta?) “... e sua nation sarà fra feltro e feltro” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Canto I, 105).

 

Il Prof. Paolo Aldo Rossi, partner dell'Associazione Le Tarot, è docente di Storia del Pensiero Scientifico presso l'Università di Genova. Per il suo profilo si veda al link http://www.letarot.it/page.aspx?id=201