Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Genesi della Cartomanzia

Carte e divinazione nel Rinascimento

 

di Terry Zanetti


Questo scritto, arricchito di ulteriori immagini,  è tratto dall'opera Il Tarocchino di Bologna. Storia, Iconografia, Divinazione dal XV al XX secolo di Andrea Vitali e Terry Zanetti (Edizioni Martina, Bologna, 2005)


Assieme all’Astrologia, la Cartomanzia è l’arte divinatoria che ai nostri giorni risulta essere più praticata. Ma se l’Astrologia, definita un tempo la “Regina delle Scienze Occulte”, era conosciuta fin dagli antichi Sumeri e dagli Egizi, lo stesso non può dirsi della lettura delle carte, usata in modo sporadico, a mio avviso, a partire dal Rinascimento e che per questo non trova menzione nel novero delle tecniche mantiche che furono oggetto di trattazione da parte di diversi autori nel XVI secolo.


Le prime notizie dell’uso delle carte a scopo profetico risalgono, come detto,  al Rinascimento. Un verso del poema La Spagna Istoriata, un romanzo cavalleresco composto nel XIV secolo ma che fu stampato a Milano solo nel 1519, fa riferimento nel Canto XX al sortilegio con il quale Rolando cercò di scoprire i nemici di Carlo Magno: “Fe’ un cerchio e poscia vi gittò le carte” il che vuol dire, come argutamente suggerisce il Lozzi in un suo articolo del 1899, che “non gittò le carte come si fa nel giuoco, o nella gittata de’ dadi, ma le gittò entro al cerchio, per iscoprire dalla loro giacitura, determinata da virtù magica (sortilegio) quali fossero e dove si trovassero i nemici dell’imperatore” (1). Non sappiamo di preciso quale tecnica volesse intendere l’autore del poema nello scrivere questi versi, cioè se facesse riferimento ad una lettura di carte utilizzate come gli astragali, in cui il responso intuitivo veniva emesso dall’osservazione del disegno complessivo che gli ossi venivano a creare una volta gettati a terra o se invece si trattasse di una vera e propria lettura come conosciamo oggi.

In ogni modo, da un documento del 1546 veniamo a conoscenza di una lettura divinatoria espressa proprio attraverso il significato di ogni singola carta. L’opera in questione è il Chaos del Tri per uno (2) di Teofilo Folengo (1491-1544) che firmava i suoi lavori con lo pseudomino di Merlin Cocai, celebre maestro del genere cosiddetto “maccheronico”.


In un passo dell’opera viene raccontato che Triperuno incontrò l’amico Liberto al quale disse di essere stato invitato il giorno precedente da altri suoi conoscenti di nome Giuberto, Focilla, Falcone e Mirella in una stanza “ove, trovati c’ hebbero le carte lusorie de trionphi, quelli a sorte fra di loro si divisero e, volto a me, ciascuno di loro la sorte propria m’espose, pregandomi che sopra quelli un sonetto gli componessi”. Triperuno allora spiegò in versi la sorte a ciascun astante interpretando le carte. Nell’opera, alle quattro divinazioni segue un sonetto incentrato sempre sui Tarocchi. Il sonetto che Triperuno compose per Giuberto, sulla base della carte da lui estratte e cioè la Giustizia, l’Angiolo, il Diavolo, il Foco e l’Amore, viene così spiegato: il fuoco d’amore, anche se apparentemente è un angelo, in realtà è un diavolo, per cui dove esiste la malizia non può esserci la giustizia. Il Prof. Dummett ritiene che quanto descritto debba essere considerato solo un artificio letterario utilizzato dal Folengo, e pertanto che il passo non può essere interpretato come prova dell’esistenza di quest’arte divinatoria nel Rinascimento (3). Ma se fosse anche stato solo un escamotage, ciò dimostra che l’autore, per trarne ispirazione, doveva aver preso spunto da qualcosa che in quel tempo era già presente, anche se in forma embrionale. Al di là di questo sta di fatto che,  anche se avessimo la certezza che si sia trattato di un artificio letterario, il documento in questione risulta il primo conosciuto simile in tutto e per tutto alla moderna cartomanzia con i tarocchi.

Come detto, ritengo che questa fosse già praticata in quel periodo, ma non utilizzata in modo così generalizzato da essere considerata ancora una vera e propria arte divinatoria, tanto che sia nelle opere di Cornelio Agrippa sia in quelle di Paracelso e ancora nel Commentarius de precipuis Divinationum generibus di Caspar Peucer stampata a Wittenberg nel 1553 e che conobbe varie ristampe fino al 1607, non vi si trova alcun riferimento (A riprova di questa tesi risulta fondamentale la scoperta ultimamente effettuata da Ross G. Caldwell di un documento della metà del sec. XV e di diversi altri cinquecenteschi dai quali si evince che la divinazione con le carte numerali e di corte era praticata in Spagna fin dalla metà del Quattrocento - Nota di Andrea Vitali inserita il 12 dicembre 2009)

Un interessante documento che non attesta direttamente tale pratica con i tarocchi, ma in cui le carte vengono abbinate per offrire un responso è l’opera di Marcolino da Forlì Le ingegnosi sorti, intitulate giardino di pensieri (figura 1 - Ignorantia, xilografia dipinta a mano. Collezione Le Tarot) del 1540 (4). Si tratta di un libro di sorte, analogo al Triompho di Fortuna di Sigismondo Fanti (figura 2) e al Libro della Ventura di Lorenzo Spirito, entrambi appartenenti allo stesso secolo, in cui attraverso un meccanismo oracolare assai complesso si ottengono delle risposte precostituite soprattutto in base agli accoppiamenti delle carte dei semi di denaro, nelle quali sono state tolti i numeri dal tre al sei. Dedicata ad Ercole, Duca di Ferrara, quest’opera risulta composta per “il gradevole trattenimento di qualunque colta, nobile e giudiziosa Compagnia”. Libri simili chiamati Losbücher furono stampati in Germania nel XVI secolo. La sorte veniva affidata al lancio di dadi o ad un disco girevole posto sul dorso dei volumi, mentre i responsi erano scritti su carte da gioco come nell’opera Eyn loszbuch ausz der karten gemacht basato su sentenze oracolari scritte su 48 carte (figura 3). Un altro esempio di documento antesignano della pratica cartomantica vera e propria è un mazzo di carte chiromantiche stampato a Norimberga verso il 1659 ad opera di Johann Hoffman (figura 4). Le 52 carte del mazzo ad insegne tedesche, cioè connotate dai semi di cuori, ghiande, foglie e sonagli, riportano linee della mano, simboli di pianeti e segni zodiacali, con una iscrizione che illustra la tipologia della persona a cui questa o quella carta si riferiva.


Un mazzo di carte realizzato invece per un uso cartomantico fu realizzato in Inghilterra nel 1690 su disegni di John Lenthall (figura 5). Nella parte superiore di ciascuna carta troviamo un numero romano da I a XIII con un seme di tipo francese, cioè coppe, quadri, fiori, picche. accompagnato da un nome di un personaggio storico o leggendario al quale erano stati attribuiti poteri magici, come Merlino, Agrippa, Ermete Trismegisto, Zarathustra, etc. Nella parte centrale e inferiore di ciascuna carta sono posti disegni e frasi atti a completare l’informazione divinatoria, cosicché il responso era direttamente descritto dalle carte stesse.


I tempi erano ormai maturi. Da lì a poco nei salotti nobiliari e nelle stanze in penombra di povere case di tutta Europa sarebbe stato possibile interrogare stabilmente il futuro con le carte dei tarocchi (figura 6 - Anonimo, Lettura cartomantica, acquaforte dipinta a mano, Austria, sec. XIX , Collezione Le Tarot  / Figura 7 - Louis Michel Halbou, Francia, 1730 - Parigi, 1810, La crédulitè sanz réflexion, acquaforte dipinta a mano. Collezione Le Tarot).


Note

1 C. LOZZI, Ancora delle antiche carte da giuoco, «La Bibliofilia», Vol. 1, Disp. 8-9, 1899, p. 183
2 MERLIN COCAI (pseud. di Teofilo Folengo), Chaos del Tri per uno, overo dialogo delle Tre etadi, Venezia, 1527
3 M. DUMMETT, Il Mondo e l'Angelo. I Tarocchi e la loro storia, 1993, p. 121
4 Bologna, Biblioteca Universitaria, 4029. Caps. 119. Cfr.F. PRATESI, Tarot bolonais et cartomancie, «L’As de Trèfle», n. 37, maggio 1989, pp. 10-11