Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Miscellanea Seicentesca II

Desiderio Cini da Pistoia - Giovanni Andrea Lorenzani - Adriano Banchieri

 

Andrea Vitali, settembre 2013

 

 

Desiderio e Speranza

 

Su Desiderio Cini da Pistoia pochissimo si conosce. Nato all’incirca verso la metà del Cinquecento fu autore di diverse commedie. La sua Desiderio, e Speranza Fantastichi che il Giustiin una lettera indica essere presente fra i suoi libracci, viene dall’autore indicata come Tropologica, ovvero ricca di situazioni allegoriche atte a insegnamenti morali. Il Cini nell’Argumento o Prologo della Presente Opera indirizzato ai lettori, scrive che una seconda commedia Apologetica ne sarebbe seguita, ma non se ne ha conoscenza.

 

Questa commedia risulta importante non solo come momento di teatro vernacolare, ma come prova dell'uso di queste lingue nel XVI secolo in quanto la lingua è quella volgare della città natale del Cini, il quale ritenne che anche altre lingue regionali come il bergamasco, il veneziano e la napoletana avrebbero potuto costituire ricche fonti per opere future. Poiché la commedia è quasi interamente composta da dialoghi, ci offre una rara visione dell'uso di un dialetto regionale parlato in Italia all'inizio del XVII secolo.

 

L’intento del Cini, nel dichiarare il suo pensiero, è di giovare attraverso il ridicolo, guidando le interne passioni, schifando in tutto per tutto le trufferie, gli adulteri, gli stupri, le “Pitture vili e bieche” né “dar lume à chi non scorge”, fuggendo a tutta briglia la mordacità, la detrazione, le accuse, le maldicenze come nelle commedie degli Antichi.

 

In un dialogo a tre, un giovane contadino chiama in lingua volgare foghiose le carte da gioco, aggettivo già incontrato altrove nelle varianti fogliose o sfogliose, 2 un modo per non richiamare su di sé l’attenzione della Chiesa che spesso le condannava come gioco d’azzardo. 'Fogliose' indicava che le carte che componevano un mazzo erano tante come le foglie di un albero 3. Infatti, come dall'albero cadono le foglie così le carte sono fatte cadere dai giocatori sul tavolo da gioco. Una seconda interpretazione fa derivare ‘fogliose’ da fogli, in considerazione che le carte da gioco possono essere equiparate a fogli di carta da sfogliare, da cui 'sfogliose'. In origine questo gioco era infatti chiamato Foliorum Ludus e le carte Folia Lusoria 4. Tuttavia far derivare 'fogliose' da fogli appare alquanto improbabile considerato che per i semiologi questo termine apparteneva al mondo delle espressioni gergali furbesche del Rinascimento 5. la similitudine fogliose - fogli non avrebbe comportato un atteggiamento furbesco in quanto facile da intendere da chiunque, considerato che le carte erano fatte con fogli di carta. L’attributo ‘traditore’ dato qui alle ‘foghiose’ si riferisce al fatto che molte volte le carte tradivano le aspettative dei giocatori.

 

Nel dialogo vengono citati numerosi giochi di carte in voga nel tempo, fra cui i tarocchi e il gioco dei trionfini 6.

 

Atto Primo - Scena Nona & ultima

 

Personaggi

Maestro Pelopide Pedante, Quartina e Ventura, giovani contadini.

 

Ped. Quando la Fortuna nemica de virtuosi, hà dato con la sua ruota contro a qualche individuo conniene patienterferre.

[...]

Vent. Che facevate Maestro, che voi chiamavi l'asso? che vi trastullavi con le foghiose alli Vaccapregna¸ alla non m`aggrè, a miacione, alla Riverscina, a Goffi, a Trionfini di Bastoni, a Rubbare, a Giule, alle quindici, al trentuno, a alzare, a Pichetto, a Piluchino, a Primiera, alla buia, anvitatre, a Germini, a Tarochi, o a Gannellino; dite sù, dite sù non vi vergognate da noi nò, perche se voi havete le foghiose traditore, noi ci giucheremo un fiascho di vino, con un mazzo di ramolacci, e lo beremo al Ceppo insieme, che lo vende si buono; che ne dite maestro? Noi sian galant'homini noi.

Quar. Ho parva Ventura, che lui facesse pezzè a Goffi; ma credo bene, se non si muta d'opellione, che n'anzi che sia buio, e forsi avale, non faccia a Trionfini di Bastoni; Un bè che dite voi aval maestro, che facevate? rispondete allegramente, che non vi voghian manicare nò.

Ped. Nil, nihil, niente, sed ma, in ludo literarum, & non Alearum, sicuti suspicatis, m’esercitavo” 7

 

 

Una rivale inviata a giocare a tarocchi

 

Giovanni Andrea Lorenzani nacque a Roma nel 1637. Poiché il padre gestiva un laboratorio in cui lavorava l’ottone, da giovane seguì le sue orme, venendo in contatto con le famiglie più ricche e potenti della città grazie alle commissioni che puntualmente riceveva, famiglie a cui Giovanni Andrea dedicò diverse sue opere, assicurandosi la loro protezione per la propria produzione letteraria. Ne è esempio l’opera scenica Quanto può l’invidia delle donne 8 dedicata a Fabio Accoramboni, figlio del Generale delle Poste di Papa Innocenzo XI.

 

Come in Desiderio e Speranza del Cini, anche qui le carte vengono chiamate fogliose con l’attributo bone, così come ritroviamo con la variante galanti nella Farsa Satyra Morale di Venturino Venturini da Pesaro, a indicare le carte da gioco nel gergo furbesco del Rinascimento 9.

 

Nel brano sotto riportato, due protagonisti dell’opera dopo aver pensato inizialmente di giocare a bazzica e poi a trionfi, con l’arrivo del terzo personaggio decidono di giocare a primiera, utilizzando carte a semi francesi. Di estremo interesse risulta la frase di Lucinda “se mi riesce in questo modo, che mentre gioco a carte, Angiola giochi a tarochi”, la frase “giochi a tarochi” sta a significare ‘non avere l’occasione’, in questo caso per Angiola di avvicinare Laurindo, mira sentimentale di Lucinda. Un significato che rappresenta una novità assoluta in quanto non riscontrata in nessun altro testo. L’avversione di Lucinda per Angiola era già stata anticipata nella scena VIII del Primo Atto con la rivelazione del suo pensiero:

 

“Va via furia d’Inferno, che con il tuo veleno infetti questa Corte, mà Lucinda haverà l’antìdoto preparato per riguardarsi, e haverà cuore, per competere le tue compiacenze haverà petto per farti conoscere quanto è potente il mio sdegno. Haverà spirito, per opporsi sempre a tuoi voleri. Ma ecco appunto Laurindo” 10.

 

Nel presente dialogo, le varie figure delle carte danno spunto all’autore di esprimere doppi sensi, come quando Lucinda dice a Laurindo che gli mancava il miglior trionfo, spiegandogli poi che era il cuore donato da Laurindo ad altre e non a lei, oppure nell’affermazione indirizzata a Meuccio di essere favorito da donne di picche, con la dichiarazione di quest’ultimo di scartarle per non avere intorno delle picche, cioè problemi donneschi.

 

La Scena si finge in Frascati in un’Anticamera di Villa.

 

Atto Primo – Scena dodicesima

 

Personaggi

Laurindo [amico di Ernesto, amante di Angiola] e Detta [Lucinda, damigella]

 

Laur. Mia Diva eccomi a tributare a vostri sguardi la mia volontà.

Luc. Gradirei la vostra servitù, o Laurindo quando però ne fussi degna.

Laur. Signora, so che non ebbi mai tal merito di servirla, ma quando ciò fusse, sarei arrivato al cielo dei contenti.

[...]

Luc. Chi è Sig. Laurindo l'introduttore del ballo.

Lau. Sarò io, se non commanda altro.

Luc. Perche è V.S. ci voglio venir anch'io.

Lau. Ci farà somma gratia.

Luc. La grazia la riceverò io. Mà già che vi è ancora tempo l'andarvi si compiaccia Sig. Laurindo per maggiormente obligarmi di fare un paro di giochi (se mi riesce in questo modo farò, che mentre gioco a carte, Angiola giochi a tarochi)

Lau. (Mi servirò dell'avviso di Angiola, mentre mi disse che mi era di bisogno fingere con Lucinda per arrivare a' miei disegni)

Luc. Che dite Sig. Laurindo V. S. non mi risponde?

Lau. Già son pronto, e prendo le carte, Via Signora à che gioco giocamo.

Luc. Se gli piace facciamo alla bazzica.

Lau. Che diceste?

Luc. Perche.

Lau. Forsi non vi è noto, che in questa Corte, di un Huomo, e di una Donna, e sospetta la bazzica. E meglio Signora giocare à trionfi.

Luc. Sarebbe à propofito. Ma a V. S. gli mancava il meglio trionfo.

Lau. E quale Signora.

Luc. Il cuore, quale nel passato viaggio so che ne festi ad altri dono.

Lau. Sempre alli scherzi. Ma ecco appunto Meuccio facciamo a primiera.

 

SCENA XIV

 

Meuccio [Paggio romanesco] e detti.

 

Meu. A Tempo sono a servirli Gnori mij, e appunto c'è avanzato in berta un briccolo novo novo di quelli mi hà donato il Gnore Orazio.

Luc. Alzi Sig. Laurindo a chi hà da fare le carte.

Lau. Alzai una Dama.

Luc. Qual' è, s'è lecito?

Lau. Quella di Core.

Luc. Sarà la Dama affettionata al Sig. Laurindo.

Lau. Che alzaste Signora?

Luc. Il Fante di picche.

Lau. E carta à proposito per V. S.

Meu. Emiodene hò alzata una testa coronata, tocca a me a far le carte.

Luc. Lau. Passo.

Meu. Poiche và così, passa ancora stò fusto.

Luc. Sig. Laurindo, che scartaste?

Lau, Scartai una Donna.

Luc. E quale?

Lau. E quella di picche.

Luc. Vi favoriscono le donne di picche.

Lau. Sì, ma da me si scartano.

Luc. Perche?

Lau. Perche non voglio picche attorno.

Meu. O qui c'è fresco, si gioca in questo modo a carte scoperte poiche si tira frezzate di ottanta. Mà servo di un Turco bone fogliose che mi ritrovo Gnori mij miodene invita tutti.

Lau. Se perdi poi non haverai quattrini.

Meu. E a stà sorte di fusti non manca mai puzzolana in berta non manca.

Luc. Date carte, che la vog io.

Lau. La voglio ancora io.

Meu. Ce sono cascati i merlotti, hò trentanove d'affronto, e me c'è interzato l'asso.

Lau. Sig. Lucinda me si è messo a primiera.

Luc. Che vi manca Sig. Laurindo?

Lau. Manca quadri.

Luc. Questa è la carta favorita da V. S.

Lau. Come à V. S. è noto?

Luc. Perche non vi manca Pitture, se sempre portate ritratti nel cuore.

Lau. Pur mi venne.

Luc. Se mi è giunta la carta, che desideravo, è meglio la mia Sig, Laurindo!

Lau. Che gli manca Signora?

Luc. Una carta di picche.

Lau. V. S. fa primiera al certo.

Luc. Da che l'argomentate?

Lau. Perche le picche da V. S. sempre si conservano.

Luc. Sia come si voglia hò vinto.

Lau. Già lo sapevo, che vincevate, perche io sempre perdo.

Luc. Pur troppo lo sò, che sempre perdete, se vi siete giocata la libertà con la Sig. Angiola.

Meu. Bignava parlà con questo fusto prima di dire, che havete vinto.Cinquantacinque, e poi frutto nelle vostre borse, avviateme un briccolo per uno, perche miodene non pò più giocà.

Lau. Perche.

Meu. Che fate il tordo, non mi havete ordinato ch'io vada a metter in ordine per il festino.

Lau. Hai ben ragione, poni il tutto all'ordine, e poi anderai dal Sig. Orazio, e da mia parte digli, che queste Signore l'aspettano alla conversatione.

Meu. Farò quanto mi comanna 11.

 

 

Il Bagatolo dei Tarochi

 

Su Adriano Banchieri, di cui abbiamo scritto in altri nostri interventi 12, riportiamo un passo dalla commedia La Catlina da Budrio overo Il Furto Amoroso 13, in sei attiscritta in prosa in lingua bolognese, il cui canovaccio risulta tipico della Commedia dell’Arte, atto a divertire come esprime l’autore nell’incipit del Prologo: “Troppo noiosa saria la vita nostra (gentiliss. Sig.) se talvolta solevata non fosse dalle tediose cure, al diletto” 14. L’intera scena si finge svolgersi in Bologna, e la ‘Favola’ è descritta avvenire parte di giorno e parte di notte.

 

Il mercante veneziano Tofano intende far sposare la propria figlia al dottor Graziano. Suo principale desiderio è diventare nonno di due nipotini per pregustare il loro affetto nel suo tornare a casa, quando gli sarebbero saltati addosso, uno davanti e l’altro dietro, cercando nelle sue tasche qualcosa di buono da gustare. L’espressione “come se mi fosse il bagatolo de tarochi” (come se io fossi il bagatto dei tarocchi) messa in bocca al mercante nell’autodefinirsi in quella auspicata situazione, ben si adatta alla carta omonima, in quanto nei tarocchini bolognesi il Bagatto  è circondato da quattro fanciulli di cui due appoggiati al tavolo del prestigiatore.

 

Atto Primo - Scena Sesta

 

Tofano, Mercante Venetiano

 

Tof. Tira in casa piegora, se chiappo un baston. Ho suso cò costù vien, e voio andar à tovar stò Dottor Gratian, strinzer sto parentao, tra esso, e mia fia, stabilio che lù farà far de do fameie una sola, e galder in mia vecchiezza senza alcun fastidio, sperando tanto spatio de vita, che possa veder un per de fantolini, azzo che co mi torno à casa, i me vegna in contro saltandome davanti, e schitolandome da drio, co se mi fosse il bagatolo de tarochi, un fruga in manega, l’altro me bisega nel braghetto per veder se ghe ho pomi, castagne, mò, che allegrezza, che contento, che consolatione sarà la mia, ah, ah, ha [...]” 15.

 

Note

 

1. Desiderio, e Speranza Fantastichi. Comedia Tropologica. Da Desiderio Cini da Pistoria [...], In Venetia, Appresso Sebastiano de Combi, MDCVII [1607].

2. Si veda Farsa Satyra Morale.

3. I dizionari e vocabolari italiani concordano tutti sul significato "ricco di foglie".

4. Perfectissimum Calepinus Parvus sive Correctissimum Ditionarium Cæsaris Calderini Mirani, Venetiis, Apud Valvasensem, MDCLXXVIII [1678], p. 177.

5. Cfr. Lorenzo Stoppato, La Commedia Popolare in Italia. Saggi, Padova, A. Draghi, Librario Editore, 1887, p. 217.

6. Si veda Trionfi, Trionfini e Trionfetti.

7. Desiderio Cini, Desiderio, e Speranza Fantastichi, cit., pp. 54-55.

8. Quanto può L’Invidia delle donne, overo E lecito il fingere per arrivare a’ suoi dissegni. Opera Scenica di Gio. Andrea Lorenzani Romano, In Bologna, per gli heredi del Pisarri, s.d. [1682].

9. Chiamare le carte sfogliose o fogliose era un modo per non richiamare su di sé l’attenzione della Chiesa che spesso le condannava come gioco d’azzardo.

10. Gio. Andrea Lorenzani, Quanto può L’Invidia delle donne cit., p. 20.

11. Ivi, pp. 24-29.

12.  Si vedano I Tarocchi in Letteratura I, Trastulli della villa - Trastulli della corte e Miscellanea Seicentesca I.

13. Adriano Banchieri, La Catlina da Budrio overo Il Furto Amoroso Comedia Onesta, e spasevole, In Bologna, per lo Sarti, All’Insegna della Rosa, 1628. Prima edizione: per Bartolommeo Cocchi, 1619.

14.  Ivi, p. 3.

15.  Ivi, p. 15.

 

Copyright Andrea Vitali © Tutti i diritti riservati 2023