Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

La Bellezza della Mia Diva - sec. XVI

posta nelli Triōfi delli Tarocchi

 

Andrea Vitali, aprile 2023

 

 

Un componimento amoroso in ottave presente presso la Biblioteca Apostolica Vaticana 1 porta come titolo La Bellezza della mia Diva, posta nelli Triōphi delli tarocchi. Composta per il Furfanto della Zampholonia. F. P. Stile e scrittura evidenziano un’epoca cinquecentesca. Le ottave devono essere state composte in tempo di Carnevale, dato il breve componimento posto al termine dedicato dall’autore a quella festa. Riguardo quest’ultimo, firmatosi con il gaudente soprannome di Furfanto della Zampholonia, da alcuni versi dell’ottava del Sole “Io cercho il Sole, il Sole, o pur trouato, / Doue ſcaldar ſi po, la Cetra mia, / Et cantar voſtre lode, a me ſia grato, / Per far honor, a queſta Zamphonia”, e della Temperanza “Se lo Inſtrumento mio ſuona, & io canto, / E dico tra le belle hauet’ il vanto”, nonché del Carro “Sonando cantarò con dolci tempre”, e ancora dal frontespizio 2, raffigurante un uomo seduto che suona il liuto con un personaggio in piedi con tanto di spada che lo ascolta e una donna alla finestra, oltre da alcuni versi dedicati al carnevale (O Carnovale) “Hilluſtri, gl’anni, i giorni, l’hore, i pūti, / Carneual’ mio, ch’io cōſumai cō teco / Se da qui inanti, no ſerai piu meco / Con altri ſonator, conuien te Agiunti) comprendiamo che era un musico, mentre Zampholonia deve intendersi come una sinfonia in versi dove vengono cantate le lodi della Diva (Signora). 

 

Il componimento è da farsi rientrare nel novero del sottogenere letterario riguardante la consuetudine di mettere in rima o di versificare i Trionfi dei tarocchi appropriandoli a personaggi delle più diverse classi sociali 3, con la variante che in questo caso tutte le ottave sono dedicate a una singola donna. Si tratta pertanto di un caso unico nel panorama dei Tarocchi Appropriati.

 

L’ordine delle ottave evidenzia un’origine bolognese data la presenza delle tre virtù dopo il Carro, con alcune varianti: innanzitutto il Mondo sovrasta l’Angelo che solitamente risulta il Trionfo più elevato, mentre manca l’ottava riguardante la Papessa. La Torre è chiamata Sagieta, variante di Sagitta mai riscontrata, mentre il Bagatto è chiamato Bagatin, termine non insolito.

 

L’assenza della Papessa accomuna questo componimento a un altro sempre bolognese, il Triompho delle nobili donne di Cesena fati [sic] a significatione dei tarochij 4, composto anch’esso di 21 stanze.  Il motivo di tale assenza può farsi derivare da vari motivi: innanzitutto come libertà dell’autore di evitare carte che potevano non essere conciliabili con il suo sentire (ad esempio se fosse stata intesa come la Papessa Giovanna); in secondo luogo, il dover togliere una stanza per la semplice necessità di spazio (infatti, osservando il libretto, lo stampatore ha utilizzato il più possibile lo spazio delle pagine stampando a pochi millimetri dai bordi inferiori e superiori); infine, considerato che anche nell’altro documento citato la Papessa è mancante, è possibile che l’autore abbai fatto riferimento a un gioco di tarocchi che non contemplava tale Trionfo. I mazzi di questo gioco, infatti, oltre a presentare ordini diversi, potevano differire fra loro, dipendendo sia dalla città in cui veniva utilizzato ma anche da zone della stessa città in cui vigeva un’abitudine diversa.

 

Tutte le ottave riflettono la bellezza, l’onorabilità e l’attrazione da ognuno provata verso la Diva (Chi mira i bei, ſembianti, i geſti, e i modi, Puo dir, ecco ’langelicha Natura, Piena, di honeſto Andar” (l’Angelo), oltre alla sua prerogativa di non soggiacere agli strali di Cupido, a volte addirittura da lei reso inerme, e per questo rimproverata nei versi riferiti al Traditor per avere chiamato con quell’epiteto il Dio d’Amore, per avergli sottratto le sue armi e per averlo disprezzato, poiché il disprezzare altrui è foriero di un gran male. Un’esortazione del poeta rivolta alla signora è di non rubare il cuore degli uomini, poiché chi ruba viene impiccato. Nei versi dedicati al Bagatin le lodi sottolineano la grande capacità della Diva di evitare gli inganni dell’Amore che cerca di fingere ciò che non è pur di farla cadere nella sua rete.

 

I versi di una sola fra tutte le ottave, ovvero quelli del Matto, sono incentrati sull’attrattiva sessuale che gli uomini provano verso la donna, giustificata da una bellezza del viso e delle mani che la rassomigliano a Venere, cosicché il poeta considera pazzo colui che spera inutilmente di volere giacere con lei “Che vol da voi coſa in honeſta, e brutta”. A tutti gli uomini, designati con il termine volgare di “uccelli” nonché al poeta stesso, quando la vorranno corteggiare, non resterà altro che un canto silenzioso, cioè mirarla senza parlare “Cantaran come me forſi alla Mutta” (dove Mutta stà per muta). Altro non sarà possibile ottenere dall’amore della donna se non renderle lodi e ogni onore.

 

Di seguito l’elencodei Trionfi:

 

Mondo

Angelo

Sole

Luna

Stella

Sagieta

Demonio

Morte

Traditor

Vecchio

Rota

Iusticia

Forza

Temperanza

Carro

Amor

Papa

Imperatore

Imperatrice

Bagatin

Matto

 

A seguire le ottave del componimento, di cui abbiamo lasciato la grafia originale 5:

 

                         M O N D O

 

Ecco il ſpecchio ch’il Mōdo, impe, & alluma

        Con gratia, con virtu, con la Bellezza,

Ecco vn ’bel uiso, a ſpenachiar la piuma,

          Al Dio d’ Amor, con mirabil’ destrezza

De si gran marauiglia, non coſtuma

         Il mondo hauer, che per diua vi aprezza,

Ben puo chiamarſi, felice & giocondo,

         Chi ve aſſomiglia, alla belta del Mondo.

 

                     A N G E L O

 

Chi mira i bei, ſembianti, i geſti, e i modi,

          Puo dir, ecco ’langelicha Natura,

Piena, di honeſto Andar, che ſoglie, i nodi,
         S’avien ch’Amor contra di voi procura,

Forza non hanno, gl’amoroſi frodi,

         Che’l ciel’ el mondo, ben guarda e miſura,

La pura volonta, Diuo concetto,

         Vi fa parer vn’Angelo in effetto.

 

                     S O L E

 

Io cercho il Sole, il Sole, o pur trouato,

         Doue ſcaldar ſi po, la Cetra mia,

Et cantar voſtre lode, a me ſia grato,

         Per far honor, a queſta Zamphonia,

E ben ſi puo chiamar lieto, e beato,

         Che poſſa al Sole, de voſtra ſignoria,

Altro Sol, non o viſto oggi, ne mai,

         Ne di piu bel’ ſplendor chiaro cantai.

 

                     L V N A

 

Sotto felice phato de la Luna,

         Formata foſti, veneranda Dea,

A cui non puo, ne forte, ne fortuna,

         Al ſecol noſtro ſpecchio, & vera idea,

Doue ſete, ſe a caſo il ciel s’imbruna,

         L’aurora vien non piu come ſolea,

Ch’il lume de la Luua intorno hauete,

         Perche ſi gratioſa al mondo ſete.

 

                  S T E L L A

 

Stella nel Ciel non e lucida tanto,

         Qual voi Madonna generoſa e bella,

Et fra laltre honorate hauete il vanto,

         Come vnica a noi lucida ſtella,

Se quel che dir vorrei, tutto non canto,

         Apena ardiſco a ragionar di quella,

Alla qual’ Reuerentia, fo cantando,

         Et come ſervo, a voi mi racomando.

 

                 S A G I E T A

 

Come Saetta, o ver’ fulgur di Ioue,

         Il voſtro guardo, paſſa ogni dur core,

Che ſene vede, cento millia proue,

         E l’arco, e la ſaetta, leui Amore,

Et le gentil’ ſembianze che commoue,

         A mantener con Arte il voſtro honore,

Faſsi pur degli Aſſalti, il fanciul ciecho,

         Che poco o quaſi nulla, auanza teco.

 

                 D E M O N I O

 

El Diauolo con Arte e con Ingegno,

         Non a forza di farui, oltraggio o torto,

Che voi con lopre, rompe il ſuo diſegno,

         Lo andar honeſto, il bel parlar accorto,

Contra di voi, lo ſpirito malegno,

         Non ſumerſſe la Naue, eſſendo importo

Però l’honor’, non e da voi diuiſo,

         Che a longo andar haurete il paradiſo.

 

                    M O R T E

 

La Morte, non harà mai tanta forza,

         Ch’a voſtra gran belta, non preſti gl’anni,

Che la voſtra virtu, tanto rinforza,

         Compenſa l’hore, ſenza voſtri danni

Hauete ſi bon vento a proua, & orza,

         Che aſcenderete a piu ſublimi ſcanni,

E ſe vien Morte, nella Etade anticha

         La famma reſtara, per voſtra Amica.

 

                   T R A D I T O R

 

Voi fate gnerra, al fanciulin d’Amore,

         Tolendo a lui di mano, l’arco el ſtrale,

E peggio lo chiamate, il Traditore,

         Non fate piu di gratia, ſi el beſtiale,

Voi ſete hornata, di tanto fauore

         Che diſpreciar altrui, fate gran male,

Sel cuor robbate altrui fate peccato

         Che chi Robba lo altrui, vien impiccato.

               

                  V E C C H I O

 

El Tempo che par vecchio, vi conduce

         Al fin, con longa Età, ſana e felice,

Perche voi date eſemplo e chiara luce,

         Al ſecol noſtro, come la phinice,

Perche il fauor celeſte e voſtro duce,

         A cui fortuna, raro mai diſdice,

E però il tempo,vi accompagna, e vole,

         Che di voi naſca, piu famoſa prole.

                  

                        R O T A

 

La Ruota di fortuna, fai fermare

         Et girar come vuoi, con ſi bel guardo,

Tu Vener ſei nel viſo, & nel andare,

         Diana, & non ti manca altro che ’l Dardo,

Io temo molto, non poter cantare,

         Le laude tue, con ſtil’ alto & gagliardo,

Perche tu ſtai, con la fortuna, a fronte,

         Et ſei d’ogni vertu, ſi chiaro fonte.

 

                      I V S TI C I A

 

Iuſticia hai teco, & le bilanze in mano,

         Et miſuri à tuo modo, Amor, & Fede,

Et vedo certo, ſe affatica in vano,

         Che d’ ingannarti, falſamente crede,

Tanto ſplendor, i tuoi begl’occhi danno,

         Che piu bella Iuſticia, non ſi vede,

Ne forza, ne prudentia, tal ch io trovo,

         Eſſer la tua perſona, vn mondo Nouo.

 

                    F O R Z A

 

Gran’forza hauete voi, gentil ſignora,

Per virtu, per belta. per nobil Diua,

De la qual gentilmente, ſe inamora,

         Ogni ſpirto gentil, che tra noi viua,

Quaſi per forza, chi ve colle, e adora,

         Conuien che di voi parli, canti, o ſcriva,

Coſi gran forza, e tanta gratia hauete,

         Che temuta, & amata, al mondo ſete.

 

            T E M P E R A N Z A

 

La Temperanza, e pur tutta la voſtra,

         Accompagnarui, con prudentia tale,

Ch’io Cantarò, che qui nel Età noſtra,

         Non è qual voi, temprata alla Regale,

Di ſangue degno, e per natura mostra,

         Hauer al fier Amor, troncate lale,

Se lo Inſtrumento mio ſuona, & io canto,

         E dico tra le belle hauet’ il vanto.

 

                     C A R R O

 

Quel Carro, onde Phetonte troppo ardito,

         Cade, e per voi, che triomphar poſſete,

O in carro, o in terra. Ogn’ un vi moſtra à dito,

         Et dirò ecco, lamoroſa Rete,

L andar, lo ſtar, il bel parlare gradito

         Con marauiglia, voi mirata ſete,

Et io Madonna voſtre laude ſempre,

         Sonando cantarò con dolci tempre.

                  

                    A M O R

 

Madonna Io, sò, che cognoſcete Amore,

         A ben che lo ſprezate, alcuna volta,

Lo fate accio, non ſia ſuperiore,

         Et che la liberta, non vi ſia tolta,

Ma la voſtra belta, con lo ſplendore,

         De tanti Inamorati, fa raccolta

E queſto vien, che mirandoui in viſo,

         Si vede Amor, con voi nel paradiſo.

 

                    P A P A

 

Queſta voſtra beltade, accompagnata

         D’ogni virtu, non e coſa mortale,

Perche tra l’altre, ſete piu honorata,

         Come ſe foſti, vn parato papale,

E per queſto la ſorte, va adorata,

Moſtrando quanto à forza, e quanto vale,

Se foſti vn homo, come donna ſete,

         D’eſſer papa, potreſti, oprar la Rete.

 

             I M P E R A T O R E

 

Sotto l’Imperator, noſtro Monarca

         Non à nel Regno ſuo, piu bel aſpetto,

Di virtu hornata, e di bonta ſi carcha,

         Sana del corpo, & pura d’intelletto,

Voi ſomigliate in alto mar la Barca

         Che non ſtima, ne venti, ne ſoſpetto,

Piaciaui adonque, poi ch’io canto il vero

         Ch’io vi ſia ſervo ſempre come ſpero.

                           

             I M P E R A T R I C E

 

Madonna il ſtato voſtro, e pur felice,

         Di grandezza di, honor, arte, & ingegno,

Meritatamente, come Imperatrice,

         Tenete il loco d’amoroſo Regno

E ſe piu inalto, il mio cantar vi lice,

         E ſol ch’io temo, non paſſar il ſegno,

Conſeruateui pur, in queſta Etade,

         Et come Imperatrice in maieſtade.

 

                 B A G A T I N

 

Amor pò ben bagattelar con voi,

         Finger quel che non e, per inganarui,

Et voi fugite queſti inganni ſoi,

         Tal ch’al fin è sforzato, ancho a laudarui,

Io non ſon ſolo, perche tutti noi,

         Di gratia abbian pur troppo à dominarui

Voi ſete vn fior’ Amarante, o Iacinto

         Che la preſentia ſempre amore a vinto.

                  

                     M A T T O

 

Pazzo inſenſato, e quel che ſpera in vano,

         Che vol da voi coſa in honeſta, e brutta,

Perche mirando il viſo, e poi la mano,

         Vede venere bella tutta tutta,

E gli vccelli ch’intorno a voi verranno,

         Cantaran come me forſi alla Mutta,

Et altro non ſi tien del voſtro amore,

         Eccetto che lodarui, & farui honore.

 

Nel componimento dedicato al Carnevale, l’autore, dopo i ringraziamenti per i tanti divertimenti che gli aveva procurato, esprime il sentimento di dover rinunciare ai suoi bagordi, alla crapula mai sopita negli anni, scusandosi se dal momento in cui sta scrivendo non sarebbe stato più suo compagno. Forse per paura della morte o meglio dei tormenti infernali, considerando un peccato “Servire un Dio si goloso e prophano”.  L’autore, che si firma “Lo Imprudente villano”, manifesta con quell’aggettivo il sentire del suo essere, un’anima persa (lalma persa) in cerca di redenzione.

 

Questo sonetto evidenzia il periodo dell’anno in cui l’autore scrisse le ottave dedicate alla sua Diva, senz’altro un esercizio di stile motivato dal desiderio di cantare la bellezza pura e incontaminata avulsa dai risvolti goderecci e a volte torbidi del Carnevale. Ne è emblema l’ottava del Matto, laddove chiama pazzi coloro che avessero osato tentare l’onestà della donna, degna di essere invece lodata e onorata.

 

                 O CARNOVALE

 

Hilluſtri, gl’anni, i giorni, l’hore, i pūti,

         Carneual’ mio, ch’io cōſumai cō teco

         Se da qui inanti, no ſerai piu meco

         Con altri ſonator, conuien te Agiunti

Però tien cura ormai, de tuoi congiunti

         O ſia barbaro, o Italico, o bon Greco

         Haurai, miglior fortuna ſtando ſeco

         Aleſcandoli in bere, in carne, & unti

Le uer, ch’io ti Rengratio che mai dato

         Occaſion, di uiuer, lieto. & ſano

         Et io cantando, t’o ſempre honorato

Hor’ da qui inanti, lo intelletto in uano,

         Non intende operar, che glie peccato

         Seruire, un’Dio ſi goloſo & prophano.

 

                   Lo Imprudente uilano

 

  Che lauora il terreno alla Rouerſa

                Al fine, alla fatica, e lalma perſa.

                                     

                        I L  F I N E

 

 

Note

 

1. Stamp. Ross.6179. Ringraziamo Simone Olini del Laboratorio di Restauro della Biblioteca Apostolica Vaticana per averci fatto conoscere questo testo inedito.

2. Il frontespizio è visibile al link https://digi.vatlib.it/view/STP_Stamp.Ross.6179 

3. Si veda I Tarocchi in Letteratura I.

4Si veda il Triompho delle nobili donne di Cesena citato nel testo.

5. Per coloro che non avessero dimestichezza con la scrittura cinquecentesca e le abbreviazioni del tempo, ricordiamo che a volte la u sta per v e che la s si scriveva con una ſ. A volte era ricorrente non accentare le e, mentre una lineetta orizzontale sopra la o (ō), utilizzata come abbreviazione, stava per on. Si troveranno inoltre molti termini senza doppie consonanti e altre parole non accentate laddove oggi lo si richiederebbe.

 

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