Andrea Vitali, febbraio 2021
Carlo Emanuele I di Savoia detto il Grande, soprannominato dai sudditi Testa di Fuoco per le sue manifeste attitudini militari, nacque a Tivoli nel 1562 da Emanuele Filiberto di Savoia e Margherita di Francia. Divenne Duca di Savoia, Principe del Piemonte e Conte d’Aosta, di Moriana e Nizza, oltre ad assumere il ruolo di Re Titolare di Cipro e Gerusalemme. Morì a Savigliano, in quel di Cuneo, nel 1630.
Prima di riportare i documenti da noi individuati riguardanti Carlo Emanuele e il gioco delle carte, informiamo che essi si riferiscono alla guerra per la successione del Ducato di Mantova di cui diamo di seguito un succinto riassunto.
Sul finire del 1612 Francesco IV Gonzaga, genero di Carlo Emanuele, morì improvvisamente. Gli succedette pertanto il fratello Ferdinando, il quale rinunciò alla carica cardinalizia per assumere le redini del Ducato. Tale successione non venne accettata da Carlo, il quale, forte degli accordi stipulati all’atto del matrimonio della propria figlia con Vincenzo Gonzaga padre del defunto Francesco e del fratello Ferdinando, sosteneva il diritto alla successione della nipote Maria. Ricevutone diniego dai Gonzaga, Carlo si mosse militarmente occupando nel 1613 le città di Trino, Moncalvo e Alba. Intervennero nella disputa diverse potenze straniere che non vedevano di buon occhio un’espansione savoiarda e fra queste la Francia, il cui Re Luigi XIII nel 1617 inviò un esercito per riconquistare Alba. Inoltre, la Spagna, precedentemente amica di Carlo, manifestò chiaramente l’intenzione di contrastarlo. Iniziò così un braccio di ferro fra Carlo e il Re di Spagna che pretese il disarmo immediato dell’esercito sabaudo. A queste due nazioni si deve aggiungere ancora Venezia, inizialmente neutrale, che iniziò a dare segni di una certa intolleranza nei confronti della Savoia. Sta di fatto che fra conquiste e ritirate da parte di entrambi gli schieramenti, i combattimenti si protrassero fino al 1618 senza nulla di fatto.
In un codice veneziano 1 si trovano diversi sonetti anonimi che raccontano la guerra fra Carlo e i Gonzaga attraverso il gioco della Trappola assai famoso all’epoca.
Se Carlo Emanuele I venne visto dai contemporanei l’unica speranza d’Italia, Principe vero e grande attorniato da imbelli così come cantarono di lui il Testi, il Boccalini e lo Zuccolo che lo additò come “lo scudo e la spada d’Italia” 2, i sonetti evidenziano una chiara tendenza antisavoiarda, facendo passare l’Emanuele come invasore audace e avido conquistatore.
Nel primo sonetto la guerra fra Carlo Emanuele e i Gonzaga nella persona del Duca Cardinale Ferdinando è descritta attraverso una partita a Trappola, dove ciascuna carta è messa in relazione con eventi (ad esempio conquiste di città) e personaggi (i fanti e i cavalli identificano la fanteria e la cavalleria sabauda). In pratica, attraverso le mosse e le prese da parte di ciascuno dei contendenti- giocatori, viene descritto quanto avvenne sui campi di battaglia. La Trappola, che si svolgeva a Venezia dove apparve per la prima volta nel sec. XVI con un mazzo di 36 o 40 carte numerali e di corte (i cosiddetti Arcani Minori), venne descritto dal Cardano nel suo Liber de ludo aleae del 1564. Nel secondo sonetto, i due contendenti giocano invece a Primiera, come richiesto dal Cardinale Gonzaga che lo valutò gioco adatto a entrambi (anco primiera è da soldato / Da Principi da Re) temendo che giocando sempre a Trappola, in cui il Savoiardo era molto ferrato, quest'ultimo potesse vincere barando.
“Il gioco inizia, a partire dall’aletta, che esce con la sua carta (TRAPPOLA); i giocatori che seguono decidono se passare senza calare carte o giocare una carta dello stesso seme, ma sempre superiore alla precedente; al termine del giro chi ha giocato la carta TRAPPOLA ha ancora la facoltà di giocare un’ulteriore carta per aggiudicarsi la presa, che va alla carta più elevata; il gioco procede allo stesso modo con l’uscita del giocatore via via seguente nel turno. Appena un giocatore esaurisce le carte, la mano ha termine e ciascuno computa i punti delle carte presenti nelle proprie prese. Vince chi realizza il punteggio più elevato” 3.
Il mazzo utilizzato consisteva quindi in una mazzo di tarocchi ordinario composto da 78 carte a cui venivano tolti i 22 Trionfi, ovvero gli Arcani Maggiori, così come ci informa l’Aretino nell’opera Le Carte Parlanti, per mezzo delle carte stesse: “Sotio nostro caro, come ch’egli si mostra, mezo, e intero, e doppo il dilattarsi in più luoghi, si ritorna un sole istesso; così noi ismembrate dal corpo, e tutte unite con seco, siamo d’una buccia consimile: e ciò si prova quando altri ci dispara da i Tarocchi [Arcani Maggiori] per il giuoco della Trappola, e che poi ci ritoglia dalla Trappola per giuocare à Tarocchi” 4.
I due sonetti vennero riportati da Antonio Pilot, che ne curò l’edizione apportando minime correzioni ai testi, nell’L’Ateneo Veneto. Rivista Bimestrale di Scienze, Lettere ed Arti del 1905 5. Oltre che nel codice citato, i sonetti furono inseriti anche nel volume Due Orazioni d’un consigliere Spagnolo, l’una contro, & l’altra a favore del Serenissimo di Savoia.
Poiché entrambi i componimenti sono per la maggior parte assenti di punteggiatura 6 risultando per questo di difficile interpretazione, li riporteremo dando per ciascuna strofa una libera traduzione.
Primo Sonetto
Il Duca di Savoia nel giocare
A Trapola hebbe sempre gran diletto
se ben fu ogn’ hor astretto
A perder per voler giusto di Dio
Hor l’istesso Desio
Gli fa trapola nova incomminciare
Col Duca nostro Cardinal Gonzaga
O di maniera vaga
Che queste proprio son maniere sue,
A primo tratto ben l’aspetta un due
[Il Duca di Savoia ebbe sempre un grande piacere nel giocare a Trappola, sebbene fosse sempre costretto a perdere per giusto volere di Dio. Ora, lo stesso desiderio di divertirsi gli fa iniziare una nuova partita con il nostro Duca, il cardinale Gonzaga. Oh, che modi vaghi sono le sue maniere. All’inizio al Savoia riceve un due].
Ei da le carte si comincia il gioco
Con due prende un sette, o ch’assassino
Prende Moncalvo, è Trino
Gonzaga ben conosce la fals’arte
Entro le prime carte:
Così s’appicca ne l’Italia il foco
Savoia par un Marte è cui s’oppone
Monfrino il Castiglione
Qual vedend’ove il giocator s’indrizza
Con valor più che gente entra in Nizza.
[Il Savoia dà le carte, si incomincia il gioco: con un due prende un sette, ohi che razza di assassino! Occupa Moncalvo e Trino, ma Gonzaga conosce bene quanto sia falso pensare di vincere al primo giro di carte (nella prime azioni militari): così si appicca fuoco all’Italia e Savoia sembra Marte al quale si oppone il Duca di Castiglione, il quale vedendo le mosse del Savoia conquista Nizza, più per suo valore che per il numero dei suoi soldati].
Savoia tosto ch’ebbe cart’ in mano
Diss’ ho fanti è Cavalli a sufficienza
O chi sciocca credenza
De suoi fanti Cavalli esso si fida
Ne sa quel che s’anida
Nel mazzo di Gonzaga così in vanno
Gl’ accusa è tosto dice horsu seguiamo
Il gioco non muttiamo
Risponde il mio signor staro con queste
E non fia mai che perditor io reste.
[Savoia, appena ebbe in mano le carte, disse: “Ho fanti e cavalli a sufficienza”. Oh, che razza di sciocca credenza fidarsi dei suoi fanti e dei suoi cavalieri! Egli non sa ciò che s’annida fra le carte del Gonzaga; così invano egli accusa le carte che ha in mano e subito esclama: “Orsù, seguitiamo a giocare e non cambiamo il gioco”. Il mio Signore risponde “Terrò le carte che ho, e non sia mai che io perda”]
Accusa quatro Re il mio Cardinale
Imperador, Franza, Spagna, e Marco:
E chi può fargli incargo?
E in più mostra haver ancor quatro assi
Savoia ò che fracassi
Fanti, è Cavalli haver poco ti vale
Marco è Re de denari, Franza di spade
Spagna è baston che accade
Temer l’Imperador col dar di coppe
Fanti è Cavalli tuoi son gente zoppe.
[Il mio Cardinale accusa quattro Re: l’Imperatore, il Re di Francia, quello di Spagna e la Repubblica di Venezia: chi mai potrebbe disonorarlo (farlo perdere)? E ancor di più mostra al Savoia di avere ancora quattro assi. Oh, distruggerai i tuoi fanti, e i tuoi cavalieri ti serviranno a poco: Venezia è Re di Denari (con il significato che metterà soldi per combatterlo), Francia è Re di spade (ha i combattenti), Spagna è Re di bastoni (ti percuoterà), e devi temere l’Imperatore se pensi di dargli coppe (se pensi di ritenerlo Imperator di poco valore). I tuoi fanti e cavalli sono zoppi (non hanno potere].
Li quatro assi son poi Vassalli fidi
Veri amici, parenti ricchi è cari
Fidi vicini ò rari
Assi che vincer faranno ogni figura
Resti ogni carta oscura
Di Savoia di lui ciascun si ridde
Che sol gente affamate, ville, è scalze
Da zappa, vanga, è falze
Tutte instrutte, è distrutte entr’ il suo danno
Al fin strette a tradir il loro tirano.
[I quattro assi, poi, sono vassalli fidati, veri amici, parenti ricchi e a me cari, vicini fidati, un tipo di assi di rara specie, che vinceranno ogni tua figura. Per il momento è meglio che io tenga all’oscuro le mie carte (dice il Gonzaga). Tutti canzonano il Savoia, poiché le sue truppe non sono altro che genti affamate, vili e senza scarpe come vanno i contadini per i campi a vangare; per di più genti false, non istruite, e saranno distrutte con loro danno, costrette alla fine a tradire il loro stesso tiranno (Carlo Emanuele)].
Quel maledetto due cinquantatre
Dice a Savoia il doppio di figure
Cinquanta quatro pure
Non passa settanta sette che fa ottanta
D’altro tanto si conta
Il Duca mio signor Doppia di Rè
Dodeci d’assi sedeci di ponti
Quarantaquatro conti
sei per l’ultima, et eccolo ridotto
Al pari poi che anch’egli ha settantotto.
[Qui si entra nel campo del conto di ciascuna carta che veniva effettuato al termine di ciascuna partita. Diremo solo che al termine il punteggio risulterà pari].
Siam par dice Savoia. Pian signore
Gionse Gonzaga havete datto il due?
Ogn’ un conti le sue
Tengo de vostri ancor quatro cavalli
Sedeci non si falli
Ne fanti che fan dodeci son fori
Ottanta è poi ventiotto alla reale
Talche il rubar non vale
Voi d’inganarmi vi prendete risa
E perderete al fin sin la camisa.
[Siamo pari, dice il Savoia al che soggiunse Gonzaga: “Calma Signore, avete dato il due? (carta di nessun valore). Ognuno conti le sue carte. Io sono ancora in possesso di vostri quattro cavalli. Fa sedici, non sbagliate a fare i conti con i fanti che contano dodici, restano fuori ottanta (punti) e poi ventotto. Cosicché non vale rubare. Voi mi prendete in giro pensando di ingannarmi, ma perderete perfino la camicia]
Si chiama giocator tanto chi perde,
Quanto chi vinze, dice il Savoia
Ben mi saprebbe noia
Il perder per cagion del putina
Pupilluccia meschina,
Ma il primo gioco non riduce al verde
Si suol dir de fanciulli esser il primo
Così poco lo stimo
Risponde al cardinal il Duca ardito
Fanciul saggio son io, voi ribambito.
[Si chiama giocatore colui che vince come colui che perde, dice il Savoia. Mi darebbe fastidio perdere la prima mano, bimbetta meschina. Ma essa non fa perdere tutto dato che è la prima come si dice dei fanciulli essere la prima età e io la stimo poco. Risponde il Duca ardito al cardinale: “Io sono un fanciullo saggio (poiché ha vinto la prima mano) e voi un rimbambito”].
Vedremola rincresservi per certo
Dice Savoia non vi so far male
Sendo voi cardinale
Mi havete le mie torre intrappolate
Cavaglier honorato
E vi par gioco degno? esser essperto
Convenmi fo le carte: ola padrone
Non rubate bastone
Bisogna star all’erta con voi altri
Trapolisti in rubar periti é scaltri.
[Vedremo che vi rincrescerà certamente, dice il Savoia, non riesco a farvi del male, dato che siete un Cardinale. Avete intrappolato le mie torri, onorato Cavaliere. Vi sembra degna di voi una simile azione? Mi conviene mettere in campo la mia esperienza. Do le carte: ehi, padrone, non rubate carte di bastoni, occorre stare all’erta con voi altri, giocatori di Trappola esperti nel rubare e scaltri].
Savoia dice, sto con le cartatie
E così prende Torre senza mura
Per lor ventura
In Alba si è scoperto giocatore
Tutto pien di furore;
Ne potero le genti mostrar faccie
Che qual folgore entro che non perdona
A luoco ne a persona
Il vescovo, le Monache col Clero
Non mi lascian mentir se dico il vero
[Dice il Savoia: “Tengo le mie carte” e in tal modo prende Torre, ma per fortuna non la città. Ha scoperto di essere un giocatore nella città di Alba, tutto infervorito; “Non potrò dimostrare chi sono io in realtà che entro ovunque come un fulmine che non perdona né luogo né persona; il vescovo, le monache e il clero tutto non potranno dire che mento dato che dico il vero].
Gonzaga carte tali ecco non cura
Accusa quatro Re, Papa, Lorena
Fiorenza con Humena:
E questi son gia pur dodeci punti
Di qua e di la dai Monti
Si trova ancor haver (o che ventura
Tre dua da dar di dietro, se con carte
Sopra dar giù le carte.
O mio signore ascondile dal guardo
Altrui che son qui spie del savoiardo.
[Gonzaga delle carte dell’avversario non se ne cura; accusa quattro Re, il Papa, il Francese e Firenze con il Ducato di Humena, e questi contano già dodici punti. (Seguono tipologie di presa di gioco). O mio Signore, nascondile allo sguardo altrui perché qui vi sono spie del savoiardo].
Canzon di pur che al fin fia intrappolato
Chi il gioco ha incominciato
D’Altezza fra Altezza al fin meschino
Chi prese Trino perdera Turino 7.
[Canzone, di pure che alla fine fu intrappolato colui che ha iniziato il gioco (Carlo Emanuele I). Fra le Altezze (i due contendenti), alla fine meschino, chi prese Trino (Il Savoia) perderà Torino].
Secondo Sonetto
Vedendosi al barar al gioco usato
Di Trapola del duca di Savoia
Per non lasciarlo in si festosa gioia
Pose in campo il Gonzaga un più lodato
E disse anco primiera è da soldato
Da Principi da Re per passar noia
A honor di Chiaramonte, è di Monzoia
Novo paio di carte, è commandato.
[Vedendo che all’abituale gioco della Trappola il Duca di Savoia barava, per non lasciarlo in quello stato di festosa gioia, Gonzaga propose un gioco più famoso e disse: “Anche Primiera è gioco adatto ai soldati, ai Principe e ai Re per non annoiarsi. In onore di Chiaramonte e di Monzoia si ordinò (che fosse portato) un nuovo mazzo di carte].
Savoia ch’ha con giocar di mano
Vinto in Trapola Trin, Alba, e Moncalvo,
finge l’essere da questo assai lontano
[Savoia che barando ha vinto a Trappola le città di Trino, Alba e Moncalvo, fa finta di non essere esperto del nuovo gioco]
Pur prende carte è per ritrarsi in salvo
lascia passando si di mano in mano
Com’ a dir un sol colpo mi rissalvo
[Nonostante ciò, prende le carte e per potersi ritirare senza danno non risponde all’avversario, come volesse far intendere che gli sarebbe bastato un sol colpo per riprendersi]
Quasi dal matterno alvo
Uscito a pena chiariro ben io
Va borbotando a miglior conto mio
[Quasi come se fosse stato appena partorito (disse) “Metterò le cose in chiaro” borbottò “per mio miglior tornaconto”]
Hor Mantoa che à desio
Di non passarla sempre disse vada
Con una de denari, l’altra di spade
[Ora, Mantova (il Cardinale), che desidera di non stare sempre a rispondere, disse “Vada (gioco) con una carta di denari e con un'altra di spade]
quasi non tiengo nada
Fu per dir in spagnolo il savoiardo
mà con un asso; et un sei fatto gagliardo
[“quasi non tengo nessuna carta buona” stava per dire in lingua spagnola il savoiardo, ma avendo un asso; e con un sei, fattosi gagliardo]
Rispose da fingardo
E vada quanto tengo, et hò del vostro
vada pur tutto, ò che sia vostro, o nostro
[rispose egli mentendo. “Vanno bene le carte che ho in mano, e ho anche vostre carte, vada come vada, che vinciate voi o io]
sogiunse in veste d’ostro
Il Paron del mincio horsu tenete
susa le carte se da me volete
[soggiunse in abito viola (cardinalizio) il Padrone del Mincio (il Gonzaga): “Orsù, dunque, tenete su le carte (non giocate) se da me volete ottenere]
I pati che sapete
Dice l’Emanuel io sono a punto
Et à primiera, è à flusso fatte conto
[i patti che conoscete”. Dice Emanuele, io sono pronto e di Primiera e flusso fatevene conto]
Doppo che vi son gionto
Tirate suso pur hormai tirare
li replica il Gonzaga, et àcusate
[dato che sono pronto. “Giocate”, replica il Gonzaga e accusate (le carte)]
Son gia le carte date
All’hor rispose il savoiardo lesto
venga cinquanta cinque basta questo
[Le carte sono già state date, e allora prontamente il savoiardo rispose: “Venga cinquantacinque che mi basta]
Perche mi tiri il resto
son tutte di baston, merce di Spagna
Che finalmente vuol che la guadagna
[affinché abbia ancora di più, le carte sono tutte di bastoni, merce spagnola, che finalmente vuole che siano vincenti]
Ha sarebbe ben cagna
Replica il Mantoan, per il dovere
Dove che, è la ragion si de tenere
[“Ah, sarebbe in verità ben puttana”. Replica il Mantovano, “per il dovere si deve mantenere la ragione]
Ma vostra este chi chiere?
Fermate il Duca giovine sogionge
Che del tirar del resto sete longe
[Ma voi cosa chiedete? Fermate il giovane Duca, soggiunge, che per fare altro siete lento]
Questa si che la ponge
Ecco le quatro cose quatro cinque
Che il vostro chiarirà cinquanta cinque
[Questa sì che la mette, ecco le quattro carte, quattro cinque, che per voi saranno cinquantacinque].
Son quatro in un cinque
l’Impero, che mi cava di letigi
S. Marco, S. Giovanni, è S. Dionigj 8.
[Son quattro in un cinque, l’Impero, che mi risparmia di dover litigare, San Marco, San Giovanni (Patrono di Firenze) e San Dionigi (Patrono di Parigi)].
Note
1. Codice Cicogna, cart. misc., sec. XV-XVI-XVII, Museo Civico di Venezia.
2. Voce Carlo Emanuele I, duca di Savoia di Valerio Castronovo, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 20 (1977), Treccani online.
3. G. Farina - A. Lamberto, Enciclopedia delle Carte. La Teoria e la Pratica di oltre 1000 Giochi, Milano, Editore Enrico Hoepli, 2010, p. 408.
4. Le Carte Parlanti, Dialogo di Partenio Etiro [Aretino]; Nel quale si tratta del Giuoco con moralità piacevole, In Venetia, Per Marco Ginammi, MDCLI [1651], pp. 12-13.
5. L’Ateneo Veneto. Rivista Bimestrale di Scienze, Lettere ed Arti, Anno Gennaio-Febbraio 1905, Anno XXVIII - Vol. I, Fascicolo I, Venezia, Orfanatrofio di A. Pellizzato, 1905.
6. Fra le altre cose la semplice e viene dall’anonimo autore pressoché regolarmente accentata.
7. L’Ateneo Veneto, cit., pp. 53-56.
8. Ibidem, pp. 57-59.
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