Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

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Giordano Bruno e i Tarocchi

“Á questo maldetto gioco non posso vencere, perche ho una pessima memoria”

 

Andrea Vitali, maggio 2009

 

 

Aver trovato finalmente uno scritto di Bruno in cui cita i tarocchi è cosa straordinaria se si pensa che il Nolano fu uno dei più importanti uomini del nostro Rinascimento ad adottare l’Arte della Memoria in chiave anche filosofica. I tarocchi con le loro immagini ricche di simboli e di allegorie non erano altro che un grande affresco mnemonico costruito per gli uomini del tempo che racchiudeva le meraviglie del mondo visibile e invisibile fornendo ai giocatori istruzioni di ordine tanto fisico, quanto morale e mistico 1. Pietro da Ravenna, uno dei più famosi teologi dell'ars memorativa del Rinascimento, affermava che le immagini, che necessitavano di non essere assolutamente peccaminose, dovevano eccitare l'immaginazione in un pubblico casto e non peccatore. Tali sono le figure dei tarocchi che ancora a distanza di centinaia di anni dalla loro creazione sono in grado di evocare una moltitudine di arcane significazioni.

 

Al riguardo degli insegnamenti su come ricordare in occasione del gioco delle carte, riportiamo un passo di Lodovico Dolce tratto dalla sua opera Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar la memoria del 1562dove il maestro Hortensio ne insegna la tecnica al giovane Fabritio:

 

"Fabritio: “…segui del modo ch'io debbo osservare nel giuoco delle carte.

Hortensio: Per valersi in questo della memoria dee considerare principalmente, nelle carte sono quattro sorti di figure, come per cagione di esempi, diremo la prima denari, la seconda spade, la terza bastoni, e la quarta coppe; e ciascuna di questa sorte ha il suo Re, Cavallo e fante. Per queste adunque figure ti imaginerai quattro huomini, che rappresentino queste quattro figure adorne cō le loro proprie insegne. Le imagini de i numeri significheranno il rimanente: come la croce le dieci spade, i dieci danari, i dieci bastoni, e le dieci coppe: e cosi degli altri numeri. Giuocando adunque alcuni, di leggeri potrai porre ciascun lor punto, come di sopra dicemmo. Cosi anco, se alcuno ti imporrà, che tu reciti le lor carte e parimente l'ordine loro, riporrai ciascun punto e ciascuna di essi in altretanti luoghi, con quell’ordine, che le prendesti. Il che ti sarà facilissimo havendo per innanzi apparecchiati i luoghi, e parimente concepute le imagini. Percioche non si puo fare insieme le imagini, i luoghi, e la memoria: percioche la mente intenta in una cosa, un’altra ne perde. E cio puo bastare in generale a tutte le carte, che secondo diverse nationi diverse sono. È da avertire, che se tre, o quattro giuocheranno, siano altresi distinti i luoghi in tre, o in quattro parti: e fra queste stesse parti si lascino tanti luoghi voti, quante ciascun de' giuocatori ha carte in mano: i quali subito dopo il tratto delle carte empierai d’imagini” 2


Giordano Bruno parla di tarocchi in una sua commedia, l’unica che compose, abituato com’era a scrivere trattati filosofici e dialoghi. Si tratta del Candelaio che compose durante il soggiorno parigino nell’estate del 1582. Mistero (l’opera è dedicata a una misteriosa Morgana), magia (i rituali di un negromante per  indurre l'amore), satira (contro la religione, nella sua accezione di religio), critica (in particolare contro l’impostura dei miracoli), parodia (sottolineando la totale indifferenza degli Dei nei confronti delle azioni umane), superstiziose credenze (la pratica di recitare preghiere per ogni sorta di avversità anche per quelle che di religioso non avevano nulla a che vedere), la condizione di incoscienza degli uomini (a cui erano esenti solo gli individui eccellenti in grado di ripristinare l’ordine nel caos del mondo), sono gli ingredienti principali di questa commedia, dove i toni del linguaggio rasentano spesse volte l’oscenità. Una volgarità che riflette i caratteri e la consistenza dei personaggi, che altro non sono che persone volgari e immorali. I toni non potevano pertanto essere che quelli di un crudo e aspro realismo, toni che portarono il Settecento a condannare la commedia come ‘scellerata e infame’ e a farla valutare dal Carducci ‘volgarmente sconcia e noiosa’. Da parte nostra l’abbiamo trovata, al contrario, deliziosa. Si legga ad esempio la Dedica all’enigmatica Morgana:


Alla Signora Morgana. B. Sua Sig. S. O. 
[Signora Sempre Onoranda]


“Et io a’ chi dedicarrò il mio Candelaio? A chi (o gran destino), ti piace ch'io intitoli il mio bel paranympho, il mio bon coripheo? A chi inviarrò quel che dal Syrio influsso celeste, in questi più cuocenti giorni, & ore più lambiccanti, che dicon Caniculari, mi han fatto piovere nel cervello le stelle fisse, le vaghe lucciole del firmamento mi han crivellato sopra, il decano de' dudici segni m'ha balestrato in capo, & ne l'orecchie interne m'han soffiato i sette lumi erranti? A chi s'è voltato dico io? à chi riguarda? a’ chi prende la mira? A Sua Santità? No. à sua maestâ Cesarea? No. à sua seremità? No. à sua sltezza, signoria illustrissima, & Reverendissima? non nò. Per mia fé, non e’ prencipe, o cardinale, Re, Imperadore o Pappa che mi levarrà questa candela di mano in questo sollennissimo offertorio. A’ voi tocca, à voi si dona, & voi o’ l'attaccarrete al vostro cabinetto, o la ficcarrete al vostro candeliero. in superlativo dotta, saggia, bella & generosa mia S.[Signora] Morgana voi coltivatrice del campo dell'animo mio. che dopo haver attrite le glebe della sua durezza, e assottigliatogl’ il stile: acciò che la polverosa nebbia sullevata dal vento della leggerezza non offendesse gli occhi di questo e quello: con acqua divina che dal fonte del vostro spirto deriva m'abbeveraste l'intelletto. Però, A’ tempo che ne posseamo a toccar la mano per la prima vi indrizzai Gli pensier gai. Apresso. Il tronco d'acqua viva” 3.


La vicenda si svolge nella Napoli del Cinquecento dove Messer Bonifacio, un candelaio, spasima oltre misura per la Signora Vittoria, sebbene sia già sposato con Carubina. Bonifacio, assieme a Manfurio e a Bartolomeo, il primo un saccente credulone e il secondo un alchimista alle prime armi, diventano oggetto di mire truffaldine da parte di alcuni imbroglioni, in combutta con la stessa Vittoria che intende approfittare dell’innamoramento di Bonifacio per spillargli un po’ di denari. Quest’ultimo, roso dalla passione per la donna, si affida alle magie di Scaramuré nell’attesa che un qualche sortilegio ben compiuto faccia innamorare di lui la perfida Vittoria. L’incantesimo sembra essere riuscito e viene fissato un convegno fra i due, ma al posto di Vittoria interviene Carubina che, sdegnata dal comportamento di Bonifacio, decide di lasciarsi sedurre dallo spasimante Gioan Bernardo, convinta che mettere le corna a mariti del genere non era dopotutto cosa grave, ma necessaria. Manfurio e Bartolomeo rimarranno sbeffeggiati, derubati e anche bastonati.


I personaggi sotto descritti non sono i soli interpreti della commedia in quanto vi prendono parte molti più attori.

 

Bonifacio, innamorato di Vittoria
Bartolomeo, alchimista
Manphurio, pedante
Vittoria, signora
Lucia, ruffiana
Carubina, moglie di Bonifacio
Gioan Bernardo, pittore
Scaramuré, negromante
Ottaviano, spirito faceto
Pollula, scolare di Manfurio
Cencio, truffatore
Marta, moglie di Cencio
Consalvo, speziale
Sanguino, mariuolo
Barra, mariuolo
Marco, mariuolo
Corcovizzo, mariuolo
Ascanio, servitore di Bonifacio
Mochione, servitore di Bartolomeo


Il Candelaio  si presenta come Comedia del Bruno Nolano - Achademico di nulla Achademia; detto il fastidito con l’aggiunta della frase In tristitia Hilaris: in Hilaritate tristis.




                                                         Il Candelaio



L'epigrafe della commedia In tristitia hilaris, in hilaritate tristis rende pensoso il lettore rivelandogli lo stato dell'animo del giovane frate, che fin d'allora dipingeva sé stesso con una di quelle pennellate tutte sue: “L'authore si voi lo conosceste: dirreste ch'have una phyisionomia smarrita. par che sempre sii in contemplazione delle pene dell'inferno. par sij stato alla pressa come le barrette. un che ride sol per far comme fan gli altri. per il più lo vedrete fastidito, restio, et e bizarro, non si contenta di nulla, ritroso come un vecchio d'ottant'anni, phantastico com'un cane ch'ha ricevute mille spellicciate, pasciuto di cipolla”.

 

Vi è certamente tristezza nella ilarità del Bruno, quando egli con ironia mefistofelica pone i filosofi nel novero di quelle persone che “Al sangue, non voglio dir de chi, lui et tuti quest'altri philosophi, poeti, et pedanti, la più gran nemica che habbino è la ricchezza, et beni: de quali mentre collor cervello fanno nothomia: per tema di non essere da costoro da dovero sbranate, squartate, et dissipate: le fuggono come centomila diavoli, et vanno á ritrovar quelli che le mantengono sane et in conserva. Tanto che io con servir simil canagla, hó tanta de la fame, tanta de la fame, che si me bisognasse vomire, non potrei vomir altro ch'il spirto: si me fusse forza di cacare; non potrei cacar altro che l'anima com'un appiccato. In conclusione io voglio andar a farmi frate, et e chi vuol far il prologo, sel faccia” 4.

 

Parimenti è triste nella sua ilarità quando osserva che nel mondo poco vi è di bello e nulla di buono, e chi più di tutti crede, più s'inganna, regnando l'amore universale per il denaro” .

L’autore chiarisce nell’Argumento et ordine della comedia i temi principali trattati, facendoli poi seguire da una nutrita serie di altre situazioni:


“Son trè materie principalj intessute’insieme nela presente comedia l'amor di Bonifa[cio]. l'alchimia di Bartholomeo et la pedantaria di Manphurio. Peró per la cognition distinta de suggetti, raggion dell'ordine, et evidenza dell'artificiosa testura: Rapportiamo prima da per lui l'insipido amante, secondo il sordido avaro. Terzo il goffo pedante, de quali l'insipido non è senza goffaria, et sordidezza. Il sordido e’ parimente insipido et goffo. Et il goffo non e’ men sordido et insipido che goffo...” 5.

 

Così nel Propologo:

 

Vedrete anchor in confuso tratti di marioli, stratagemme di barri, imprese di furfanti. Oltre, dolci disgusti, piaceri amari, determination folle, fede fallite, zoppe speranze, et charitadi scarse. giudicij grandi et gravi in fatti altrui, poco sentimento ne' propri. femine virile, effeminati maschij, Tante voci di testa et non di petto. Chi piú di tutti crede piú s'inganna. E di scudi l'amor universale. Quindi procedeno febbre quartane, cancheri spirituali, pensieri mancho di peso, sciocchezze traboccanti, intoppi baccellieri, granchiate maestre, et sdrucciolate da fiaccars' il collo. Oltre il voler che spinge, il saper ch'appressa, il far che frutta. Et diligenza madre de gl’effetti. In conclusione vedrete in tutto non esser cosa di sicuro: ma assai di negocio, difetto à bastanza, poco di bello, et nulla di buono. Mi par udir i’ personaggi. a Dio” 6.


Il passo dove Bruno cita i tarocchi esprime un momento tipico della vita della Napoli del tempo dove “l'infimo popolo napoletano ti si appresenta nel dialogo con quella prontezza e copia di motti arguti e quella abbondanza di proverbi, di sentenze, d'invocazioni ai santi e di bestemmie, che sono una qualità particolare dell'indole e de' costumi di esso. Possono citarsi ad esempio tutte le scene della compagnia de' finti birri, e quella in ispecie di Marco e Barra, che si raccontano a vicenda le truffe operate nella osteria del Cerriglio in Napoli e in quella di Pumigliano” 7.


Al riguardo, riportiamo per intero la Scena Ottava dell’Atto III:


Marco
, mariuolo
Barra, mariuolo

 
MARCO: O’ Vedi il Mastro Manphurio che sen vá?
BAR: Lascialo col di-avolo. seguita il proposito incominciato; fermiamoci cquà.
MA. Hordunque hier sera all'osteria del Cerriglo. do po che hebbemo benissimo mangiato, sin tanto che non avendo lo tavernaio del bisogno: lo mandaimo ad procacciare altrove, per fusticelli; cocozzate, cotugnate et altre bagattelle da passar il tempo: do pó che non sapevamo che più di-mandare: un di nostri compagni finse non so’ che debilitá; et l'hoste essendo corso con l'aceto. Io dissi. non ti vergogni huomo da poco: camina prendi dell'acqua nampha, di fiori di cetrangoli, et porta della malvasia di Candia. All’hora il tavernaio non só che si rinegasse egli: et poi comincia ad cridare: dicendo in nome del diavolo sete voi marchesi o’ duchi? Sete voi persone di aver speso quel che havete speso? Non só come la farremo al far del conto, questo che dimandate non è cosa da hosteria. Furfante, ladro, mariolo, diss’io, pensi ad haver à far con pari tuoi? tu sei un becco, cornuto, svergognato. Hai mentito per cento canne disse lui. All’hora tutti insieme per nostro honore ci alzaimo di tavola, et acciaffaimo ciascuno un spedo di qué più grandi lunghi da diece palmi.
BARR. Buon principio Messere.
MAR. Li quali ancor haveano la provisione infilzata: Et il tavernaio corre a prendere un partesanone; et dui di suoi servitori due spadi rugginenti. Noi ben che fussimo sei con sei spedi più grandi che non era la partesana: presimo delle caldaia perservirne per scudi et rotelle.
BARR. Saviamente.
MAR. Alchuni si puosero certi lavezzi di bronzo in testa per elmetto over celata.
BAR. Questa fú certo qualche costellatione; che puose in esaltatione i lavezzi, padelle, et le caldaie 

MAR: Et cossi bene armati reculando, ne andavamo defendendo, et retirandoci per le schale in giù. verso la porta benche facessimo finta di farci avanti:
BAR. Bel combattere, un passo avanti; et dui a’ dietro, un passo avanti et dui a’ dietro: disse il signor Cesare da Siena.
MAR. Il tavernaio quando ci vedde molto più forti; et timidi più del dovero; in loco di gloriarsi come quel che si portava valentemente: entró in non so che suspitione.
BAR. Ci sarebbe entrato Scazzolla.
MAR. Per il che buttata la partesana in terra, comanda à sua servitori che si retirassero, ché non volea di noi vendetta alchuna.
BAR. Buon'anima da canonizzare.
MAR. Et voltato a’ noi disse. Signori gentil'homini, perdonatime, io non voglio offendervi da dovero: di grazia pagatemi et andiate con dio.
Bar. All’hor sarrebe stata bene qualche penitenza con l'assoluzione.
MAR. Tu ci voi uccidere traditore dissi io; e con questo puosemo i’ piedi fuor de la porta.

BAR. All’hora l'oste desperato, accorgendosi che non accettavamo la sua cortesia, et devotione: riprese il partesanone, chiamando aggiuto di servi, figli, et mogle. Bel sentire. l'oste cridava pagatemi pagatemi. Gl’altri stridevano à marioli, ai’ marioli. Ah ladri traditori. con tutto cio nisciun fú tanto pazzo che ne corresse a’ detro. Perche l'oscurità della notte fauriva più noi che altro. Noi dunque temendo il sdegno hostile, idest de l'hoste, fuggivimo ad una stanza apresso li Carmini: dove per conto fatto habbiamo anchor da farne le spese per tre giorni.

MAR. Far burla ad hosti; è far sacrificio ad nostro signore: Rubbare un tavernaio, è far una limosina: In batterlo bene consiste il merito di cavar un'anima di purgatorio. Dimmi havete saputo poi quel che segiuto nell'hostaria?
BAR. Concorsero molti de quali, altri pigliandosi spasso, altri attristandosi, altri piangendo, altri ridendo, questi consigliando, quelli sperando, altri facendo un viso, altri un’altro, altri questo linguaggio et altri quello: era veder insieme comedia, et tragedia, et chi sonava a’ gloria, et chi à mortoro. Di sorte che chi volesse vedere come stá fatto il mondo, derebbe desiderare d'esservi stato presente.
BA. Veramente la fú buona. - Ma io che non só tanto di Rettorica. Solo soletto senza compagnia. l'altr'hieri venendo da Nola per Pumiglano: do poi ch'hebbi mangiato non havendo tropo buona phantasia di pagare; dissi al tavernaio. Mes. hosto, vorrei giocare. a’ qual gioco, disse lui, volemo giocare? cquá hò de tarocchi. Risposi á questo maldetto gioco non posso vencere, perche ho una pessima memoria. disse lui, hò di carte ordinarie. Risposi saranno forse segnate, che voi le conoscerete: havetele che non sijno state anchor adoperate? lui rispose de non. Dumque pensiamo ad altro gioco. Hò le tavole, sai? Di queste non so’ nulla. hò de scacchi, sai? questo gioco mi farebbe rinegar Cristo. All’hora, gli venne il senapo in testa. A’ qual dunque diavolo di gioco vorai giocar tu? Proponi: dico io a’ stracquare a’ pall'e maglo: disse egli come a pall'e maglo? vedi tu cquá tali ordegni? vedi luoco da posservi giocare? Dissi a’ la mirella? questo è gioco da fachini, bifolchi, et guarda porci. A’ cinque dadi? che diavolo di cinque dadi? mai udivi di tal gioco si vuoi giocamo a’ tre dadi. Io gli dissi che a’ tre dadi non posso haver sorte. "Al nome di cinquantamila diavoli (disse lui), si vuoi giocare, proponi un gioco che possiamo farlo et voi et io. Gli dissi giocamo à spaccastrommola. Vá disse lui, che tu mi dai la baia: questo è gioco da putti, non ti vergogni? Hor su, dumque dissi, giocamo à correre. Hor, questa è falsa disse lui. Et io soggionsi Al sangue dell'intemerata, che giocarai, Vuoi far bene’ (disse) pagami; et si non vuoi andar con dio; vá col prior de diavoli. Io dissi Al sangue delle scrofole che giocarai. et che non gioco? diceva. et che giochi? Dicevo. et che mai mai vi giocai? et che vi giocarrai adesso? et che non voglio? et che vorrai? In conclusione comincio io a’ pagarlo co le calcagne, ideste á correre. Et ecco quel porco che pocò fá diceva che non volea giocare, et giurò che non volea giocare; e giocò lui, et giocorno dui altri suoi guattari, di sorte che per un pezzo correndomi a’ presso, mi arrivorno, et giunsero, co le voci. Poi ti giuro, per la tremenda piaga di S. Rocco, che ne io l'hò più uditi; ne essi mi hanno più visto” 8.


All’inizio dell’articolo abbiamo sottolineato l’importanza di quest’opera in riferimento al fatto che Giordano Bruno fu straordinario artefice dello studio dell’arte della mnemonica. In quest’ottica risulta quanto mai interessante il fatto che Bruno, parlando di tarocchi, metta in bocca al mariuolo Barra le parole “A questo maldetto gioco non posso vencere, perché ho una pessima memoria". Una frase con cui l’autore qualifica sé stesso rendendosi estraneo alla nullità dei mediocri.


Note

 

1. Si veda La Storia dei Tarocchi.

2. M. Lodovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar la memoria, In Venetia, Appresso Gio. Battista et Marchio Sessa Fratelli, MDLXII [1562], cc. 118v -119r.

3. Candelaio Comedia del bruno Nolano Achademico di nulla Achademia; detto il fastidito. In Tristitia Hilaris: in Hilaritate tristis, In Pariggi, Appresso Guglielmo Giuliano. Al segno de l’Amicitia, M.D.LXXXII. [1582], s.n.p.

4. Ibidem, Antiprologo, s.n.p.

5. Ibidem, Argumento..., s.n.p.

6. Ibidem, Proprologo, s.n.p.

7. Domenico Berti, Vita di Giordano Bruno da Nola, 1868, pp. 145-146.

8. Candelaio, cit., pp. 48-52

 

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