Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

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Su un sonetto di Pico della Mirandola - 1479 /1486

In un verso un riferimento ai trionfi dei tarocchi?

 

Andrea Vitali, dicembre 2022

 

 

Di Giovanni Pico della Mirandola sono giunti a noi, a formare il suo Canzoniere, quarantacinque sonetti in volgare, composti indicativamente frail 1479 e il 1486. Essi si trovano nel Codice 1543 della Biblioteca Nazionale di Parigi, redatto fra il 1492 e il 1497 dove accanto ai sonetti del Pico si trovano stanze del Poliziano e del Magnifico, sonetti del Bembo, strambotti del Pulci oltre a opere del Sannazzaro, del Benivieni e dell’Aquilano, tutte di carattere amoroso o encomiastico. Se da un lato Pico ebbe a condannare il genere femminile definendolo lascivo e calcolatore, ricordando le molte donne che si erano innamorate di lui per la sua bellezza, la grazia dell’aspetto, il suo sapere, e soprattutto il ricco patrimonio derivatogli dalla nobiltà della famiglia, dall’altro manifestò attrazione verso quel genere tanto che in diverse occasioni, come le cronache ricordano, dovette lestamente fuggire per non essere trafitto dalle armi dei parenti delle signore con cui si stava intrattenendo. Questo dualismo venne vinto in seguito, allorché la grazia e la bellezza delle donne non furono più foriere di attrazione fisica ma, come un novello Dante o Petrarca, di un riconoscere in esse una manifestazione della bellezza divina.

 

I sonetti di Pico riflettono la primiera ansia amorosa che allora lo governava. Nel Sonetto XXVIII il conflitto fra Amor terreno e Amor celeste manifesta l’incapacità dell’autore di comprendere il proprio profondo pensiero, tanto da divenire lui stesso il campo di battaglia di contrastati sentimenti.

 

Sonetto XXVIII

 

     Amor ben mille volte e cun mille arte,

Come huom sagio che amico se dimostra,

Temptato ha pormi ne la schera vostra,

Che empieti de triumphi soi le carte;

 

     Ma la ragion di lui m’era in disparte,

Che la strada d’il cel vera mi mostra;

Così l’uno pensier cun l’altro giostra,

El cor voria partir, nè pur si parte.

 

     Onde ancor ... (1) nostra alma o trista

Far può Fortuna, e furno in grande errore

Gli ochi, se lo contrario a lor pareva.

 

     Gelosia forse, che ‘l nostro signore

Seguir suol sempre, offerse cotal vista

Al cor, che di Madonna alor temeva 1.

 

(1) Il ms. pare dica ne gioir; forse in gioi’, o, anche regioir (nota del curatore)

 

Nostra libera traduzione con spiegazione di versi

 

Ben mille volte e con mille arti l’Amore

come (se fosse) un uomo saggio che si dimostra (essere mio) amico,

ha tentato di pormi nella schiera dei vostri corteggiatori,

considerato che di vostri trionfi (lodi) sono piene le carte (fogli scritti);

(il poeta si rende conto da questo che sono moltissime le qualità della donna)

ma la sua ragione (il motivo di questa tentazione da parte di Amore) non mi era conosciuta,

poiché (la sola ragione) mi avrebbe mostrato la vera strada del cielo: (la decisione giusta);

così il (mio) pensiero con l’altro combatte

e il cuore vorrebbe allontanarsi da lei, ma non si allontana.

Poiché, ancora, la Fortuna non può né far gioire

né far diventare triste la nostra anima (il Poeta non si aspetta che la sorte decida per lui),

e i miei occhi furono in grande errore

se a loro sembrava il contrario (Il Poeta, guardando gli occhi di Madonna, non sa decidere se gli dimostrano simpatia o avversione. Si veda più sotto).

Forse la Gelosia, che il nostro Signore (l’Amore)

suole sempre seguire, offrì questo modo di vedere al (mio) cuore

dato che allora per la donna (il suo cuore) provava soggezione.

 

A proposito del verso “che empieti de triunfi soi le carte” alcuni critici hanno interpretato la parola trionfi riferendola, con rimando ai celebri Trionfi del Petrarca, alle virtù della donna, descritte dai suoi corteggiatori in versi su fogli di carta, ma anche ai trionfi dei tarocchi. In pratica, sulle virtù della donna venivano riempite pagine di elogio tante quanti erano i trionfi in un mazzo di tarocchi.

 

Se accettassimo questo doppio riferimento, la successiva gelosia menzionata dall’autore troverebbe la sua giustificazione dal fatto che coloro che corteggiavano la donna (la schera vostra) dovevano essere tanti, come il numero dei trionfi in un mazzo di carte. Solo in questa ottica è possibile valutare la frase in riferimento ai tarocchi.

 

Non possiamo sapere se Pico abbia scritto quei versi con questo intento, mentre è certo il riferimento ai trionfi (virtù) della donna. Da parte nostra mettiamo in dubbio che Pico abbia inteso far riferimento esplicito ai trionfi dei tarocchi, specialmente se si considera una variante dello stesso sonetto, un madrigale-sonetto come lo chiamò Pico, anche se alcuni versi fra endecasillabi e terzine non si accorderebbero di certo a un madrigale.

 

Madrigale - Sonetto

 

Amore mi tien davvero in dubbio Marte (1)

     Com huom saggio che amico si dimostra

     Temprato a pormi nella schiera nostra

     Che empion de’ trionfi suoi le carte

 

Ma la ragion di lui m´era in disparte

     Che la strada del ciel vera mi mostra.

     Così l’uno pensier con l’altro giostra

     E ’l cor vorre’ patir, nè pur sì parte.

 

Onde ancora gioir nostra alma trista

     Può far fortuna: e furno in grand’ errore

     Gli occhi se lo contrario a lor pareva.

 

Gelosia falsa, che ’l nostro Signore

     Seguir suol sempre, offerse cotal vista

     Al cor che di Madonna allor temeva 2.

 

(1)  In questa variante, Amore mette in dubbio al poeta, attraverso il ricorso a Marte, Dio della guerra, il sentirsi forte per conquistare la donna.

(2) Qui i versi appaiono diversi nel significato rispetto al primo sonetto dove la Fortuna non è considerata in grado di far gioire o rendere triste l'anima; qui la Fortuna è indicata non poter rendere felice un'anima triste.

 

Così si espresse al riguardo Felice Ceretti, curatore di un’opera sui sonetti inediti di Pico, nei suoi ‘Brevi Commenti Osservazioni e Note ai Sonetti’:

 

“La schiera nostra, secondo me, dovrebbe esser quella dei famosi innamorati, de’ quali cantò il Petrarca ne suoi Trionfi. Il Che del 3° verso è riferibile alla suddetta schiera, e mi sembra che la costruzione di tutto quel verso debba farsi così: Che le carte empion de’ suoi trionfi; l’allusione ai Trionfi del Petrarca, è patente” 3.

 

Riteniamo il commento perfetto in quanto i versi parlano dell’incertezza di Pico di porsi fra la schiera degli ammiratori della donna, che riempiono le carte, ovvero i fogli da scrittura, dei suoi trionfi (elogi, virtù). Probabilmente troppi con cui competere. Niente a che vedere con i trionfi dei tarocchi dunque. Inoltre, il Ceretti ricorda come diversi versi siano in qualche modo suggeriti da opere del Petrarca, sottolineando inoltre che “il contesto non poco involuto del Sonetto è questo: Il Poeta, guardando gli occhi di Madonna, non sa decidere se gli dimostrano simpatia od avversione” 4.

 

Un esempio dove alcuni critici hanno dapprima inteso la parola trionfi come riferito ai tarocchi e in seguito a nostra indagine rivelatosi un errore, è testimoniato dal sonetto del Burchiello Se tu volessi fare un buon minuto, già oggetto di una nostra disamina 5 da cui riportiamo quanto di essenziale:

 

Sonetto XXXI

 
     Se tu volessi fare un buon minuto,
togli Aretini et Orvietani e Bessi,
e sarti mulattieri bugiardi e messi,
e fa’ che ciaschedun sie ben battuto;
     poi gli condisci con uno scrignuto
e per sale vi trita entro votacessi,
e per agresto minchiatar fra essi
accioché sia di tutto ben compiuto.
     Spècchiati ne’ Triomphi, el gran mescuglio
d’arme, d’amor, di Bruti e di Catoni
con femine e poeti in guazabuglio:
     questi fanno patire i maccheroni
veghiando il verno, e meriggiando il luglio
dormir pegli scriptoi i mocciconi,
     Dè parliàn de’ moscioni,
quanta gratia ha il ciel donato loro,
che trassinando merda si fan d’oro.

 

Il sonetto si manifesta come una critica contro i buoni da nulla, i finti letterati, i falsi dotti, assolutamente inutili alla società, di cui sarebbe meglio disfarsene. I versi erroneamente interpretati in riferimento ai tarocchi sono i seguenti:


     Spècchiati ne’ Triomphi, el gran mescuglio
d’arme, d’amor, di Bruti e di Catoni


Il verso "Il grande miscuglio d'armi e d'amori" poteva a prima vista dare a intendere che ci si riferisse ai tarocchi: l'Amore si trova raffigurato nel VI Trionfo, mentre le armi potevano rimandare alle armature indossate da diversi personaggi dei trionfi. Se si considera ancor più che Catone si ritrova nei cosiddetti Tarocchi Sola Busca, l'attribuzione di questi versi ai trionfi dei tarocchi appariva plausibile. Per comprendere appieno il senso compiuto e cioè che i Triomphi indicati dal Burchiello si riferiscono all'opera del Petrarca e non ai Trionfi dei Tarocchi, occorre valutare l'insieme dei versi sotto riportati:


     Spècchiati ne’ Triomphi, el gran mescuglio
d’arme, d’amor, di Bruti e di Catoni
con femine e poeti in guazabuglio:
     questi fanno patire i maccheroni
veghiando il verno, e meriggiando il luglio
dormir pegli scriptoi i mocciconi,


Se le ‘femine’ sono presenti nei trionfi non lo sono i poeti che abbondano invece, assieme a una grande varietà di donne, nei Trionfi del Petrarca, ma chiarificatori risultano i versi successivi. Occorre innanzitutto prendere in considerazione il significato di ‘maccherone’ termine che nel Rinascimento significava ‘sciocco’. Rileggiamo pertanto i versi: "Questi [i Trionfi del Petrarca] fanno patire i maccheroni / veghiando il verno, e meriggiando il luglio / dormir pegli scriptoi i mocciconi" a significare "I Triumphi, per la loro difficoltà, fanno soffrire gli sciocchi che rimangono svegli d'inverno [data la lascarsa intelligenza, occorreva loro tanto tempo per comprendere quanto il Petrarca aveva scritto], e fanno addormentare i babbei sugli scrittoi d'estate". Per comprendere i Triumphi del Petrarca occorreva infatti una mente sveglia e letterata, non sciocca: per quest'ultima sarebbe stato impossibile districarsi in quel grande miscuglio di armi e amori, donne e poeti, Bruti e Catoni che ritroviamo nell'opera. Risolutiva risulta inoltre, per eliminare qualsiasi ipotesi che il termine Triomphi fosse qui riferito al gioco, l'evidenza che nessuno avrebbe giocato a carte sopra degli scrittoi.

 

Note

 

1. Leon Dorez (a cura), I Sonetti di Giov. Pico della Mirandola (Sonetti del Conte Zuanne de la Mirandola), in “La Nuova Rassegna”, Anno II, N. 25, 30 luglio 1894, Roma, Tip. Folchetto, Via Uffizi del Vicario, 21, 1894, p. 114

2. Sonetti Inediti del Conte Giovanni Pico della Mirandola. Messi in luce dal Sac. Felice Ceretti, Mirandola, Tipografia di Grilli Candido, MDCCCXCIV. [1894], p. 49. Il manoscritto originale si trova nel Codice Magliabechiano 1187, Classe 7, n. 19, foglio 136. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.

3. Ibidem, p. 60.

4. Ibidem, p. 61.

5. Si veda I Tarocchi in letteratura I.

 

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