Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

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Trionfi, mariti puttanieri e mogli virtuose

A trionfi i mariti non sanno giocare altro che con il Re di Bastoni - sec. XVI

 

Andrea Vitali, ottobre 2022

 

 

La valutazione negativa della donna, iniziata già in epoca patristica in cui i Santi Padri videro in lei la tentatrice per eccellenza non solo dell’uomo ma anche dei religiosi, venne ereditata dai secoli successivi. La donna, tuttavia, era ritenuta necessaria all’uomo trovando conferma nella Bibbia: “Due valgono più di uno solo, perché sono ben ricompensati della loro fatica. Infatti, se l'uno cade, l'altro rialza il suo compagno; ma guai a chi è solo e cade senz'avere un altro che lo rialzi! Così pure, se due dormono assieme, si riscaldano; ma chi è solo, come farà a riscaldarsi? (Ecclesiaste, 4: 9-11)”. Solo nel matrimonio inteso come fucina d’amore e di procreazione trionfava la vera castitas, dove l’anelato atto sessuale che si nobilitava nella procreazione divenne il simbolo nuziale dell’amplesso dei due corpi, dove ciò che esteriormente possedeva valore erotico a livello spirituale assumeva il grado più alto dell’unione con Dio. Un atto carnale che al di là del soddisfacimento dei sensi era da interpretarsi in chiave spirituale. Quindi, solo all’interno di un matrimonio vissuto con un anelito verso il divino la donna sublimava sé stessa perdendo quel carattere negativo che faceva di essa la personificazione della lascivia.

 

“La donna virtuosa è la gloria di suo marito” recita la Bibbia (Prov. 12,4). Diversi predicatori medievali si scagliarono ripetutamente nei loro sermoni contro quei mariti che trattavano in malo modo le consorti morigerate di Dio, ricordando loro le parole di San Tommaso:

 

“Fu opportuno che la donna fosse formata dalla costola dell’uomo: primo, a significare che tra uomo e donna deve esserci un rapporto societario. Infatti, né la donna deve prevalere sull’uomo – per questo non fu formata dal capo -, né dev’essere da lui disprezzata, quasi gli fosse sottoposta come una schiava” 1.

(Conveniens fuit mulierem formari de costa viri: primo quidem ad significandum quod inter virum et mulierem debet esse socialis coniunctio. Neque enim mulier debet dominari in virum – et ideo non est formata de capite -, neque debet a viro despici tamquam serviliter subiecta)

 

In tal modo continuò un predicatore sulla scia dell’Aquinate:

 

“E per questo non fu formata dai piedi, ma fu creata da una costola presa dalla parte dove sta il cuore, che è principio d’amore, a indicare che deve essere legata e unita a te da un vincolo d’amore, se pensi che è fatta di te; e pertanto la devi trattar bene come tratti te stesso, perché è la tua stessa carne”.

(Et ideo non est formata de pedibus, sed facta est de costa, sumpta de latere ubi est cor, qui est principium amoris, ad inuendum quod tecum debet esse ligata et coniuncta per amorem, cogitans quod de te facta est; et ideo debes eam bene tractare sicut et tu, eo quia tua caro est).

 

Parlando successivamente della situazione delle mogli nell'antica Roma il predicatore ricorda l’indegno Egnazio Mecenio, il quale avendo scoperto che sua moglie una volta aveva bevuto del vino, la colpì con un bastone e la uccise.

 

“Ti sembra che questa fosse una reprimenda da uomo saggio? C’è chi crede che le donne debbano star sempre con la rocca e il fuso a filare e non considerano che qualche volta bisogna pur bere, perché la stoppa e il lino seccano le labbra [...]. Queste punizioni furono diaboliche e sconsiderate. Dove volete, o mariti, che le donne abbiano le loro soddisfazioni? Infatti, non possono essere dottori né testimoni né giudici [...]. Bisogna dunque che si consolino in qualche modo. Ché quando te la sei portata a casa, la pianti li come un porro nell’orto; e mentre tu, marito, te ne vai a spasso di qua e di là, per città, per paesi, per strade e per piazze, loro, le mogli, stanno sempre chiuse in casa come monache in un monastero”.

(Te par che questa fosse una correctió da valente homo’. Sunt aliqui qui semper credunt quod femine debeat stare cum rocha et fuso ad filandum et non considerant che el se bisogna qualche fiada bevere, che la stopa e lo lino suga li labri [...]. iste correctiones fuerunt diabolice et strabucate. In quo vultis, o viri, quod mulieres habeant gloriam suam? Nam non possunt esse doctorese nec testes esse nec iudicare [...]. Oportet enim quod in aliquo habeant solatium suum. Nam cum ducis eam in domo ponis eam ibi sicut plantatur porri in orto. Nam tu, marite, vadis spaciatum hinc inde, per civitates, per castella, per vicos et plateas: ipse autem mulieres stant semper in domo clause sicut monilaes in monasterio).

 

La scrittura di questo predicatore risulta un misto - per non dire miscuglio - di latino solo a volte corretto e di un gergo tratto da parlari del basso popolo. Leggendo l’intero sermone si troveranno termini scurrili da avventori di taverna, come certi vocaboli attribuiti dai mariti alle loro mogli quali “civeta, matta, porcha, vacas, putana, mocignosa, çuieta, stornella, gayofa, meretrices, ecc”. Ma anche i mariti vengono appellati con epiteti come “testa balzana, poltroni, asnaci, ribaldoni, tinazi da luxuria, cervello del dyavolo, strabucato, bizaro, matto da setantatrey cotti, cervello da parpalioni, ecc”.

 

L’intero sermone è rivolto a un ipotetico marito - uno in rappresentanza di tutti - che trattava in malo modo la moglie affinché cambiasse atteggiamento, elencando tutte le qualità di quella e le azioni peccaminose del primo. Fra queste risulta di nostro interesse la frase che segue alla considerazione che molti mariti chiamavano le mogli “putanas et ribaldas et meretrices, porcas et vacas” e alla fustigazione da parte del predicatore dei mariti stessi con la frase “O poltrone marito!  Si tua uxor est puta, e tu es unus rufianus. Si est meretrix, ergo habes cornua” (Se tua moglie è una puttana, tu sei un ruffiano. Se è una sgualdrina, ebbene, tu hai le corna). Nella frase successiva il predicatore facendo riferimento al cinquecentesco gioco dei Trionfi 2. così si esprime “Taluni infatti credono sempre di giocare ai trionfi e non sanno giocare altro che col re di bastoni” (Aliqui enim credunt semper ludere a' triumphi et nesciunt ludere nisi cum lo re de bastó) dove per “re di bastó” si deve intendere l’organo sessuale maschile. Il senso della frase è che i mariti pensavano di vincere nella vita come se questa fosse stata un gioco di carte di Trionfi, quando in realtà essi non valevano nulla, in quanto capaci soltanto di soddisfare i loro appetiti sessuali.

 

Di seguito riportiamo la traduzione dell’intero sermone 3 facendola seguire dal testo originale che per l’uso di un latino a volte maccheronico e per le espressioni gergali, risulta di piacevole e divertente lettura. 

 

Traduzione

 

Prov. 12, 4: La donna virtuosa è la gloria di suo marito, specialmente per il governo della casa: infatti tengono pulita la casa, le coperte e gli altri panni, e provvedono a tutto; tanto che se non ci fossero loro, i mariti sembrerebbero tedeschi, e, per così dire, i pidocchi li mangerebbero. [...] Oh povero marito, quando sei ammalato, come faresti se non ci fosse tua moglie, che mai hai trattato con un po’ d'affetto? Pensa che lei dorme sulle panche; se piangi, piange; se ti lamenti, si lamenta; se sospiri, sospira, tutta afflitta, tutta malinconica. Non mangia, non dorme, se ne sta coi vestiti addosso, né di giorno né di notte sa cosa sia il riposo; pensa sempre che cosa può fare per accontentarti in tutto e per tutto durante la tua malattia. Ti assiste in ogni necessità; niente le ripugna, non s'inquieta con te, ti sta sempre intorno come una tortora fedele. Per contro tu non ti degni neppure di chiamarla donna, ma la chiami civetta, matta, porca, puttana, mocciosa, nottola, allocca. Ascolta, testa balzana, quel che dice san Paolo, I Cor. 7, 10: Ordino, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito [...]; e Col. 3, 19: Voi, mariti, amate le vostre mogli e non le trattate con asprezza. Perché tu la lasci come una poveretta, come una disgraziata, e vai dietro a quella puttana che ti porta via tutto quel che hai e ti vuota il borsello. [...] Oh quanti ce ne sono di questi vigliacchi, pezzi d'asino, sciagurati, tini pieni di lussuria, che hanno mogli belle, brave, di buona famiglia e di sangue nobile - che non te la meriteresti, una moglie così - eppure vanno dietro alle altre e lasciano la propria! «Oh», dirà quel bellimbusto, «è una ragazza perbene, signore, se non avesse quel che...». È tanto perbene che è una cosa stupenda. E li sa fare, i suoi interessi! Ma dimmi, che vuol dire "quel che", eh? «E non lo capisci? Vuol dire: se non ·fosse una puttana e una poco di buono sarebbe una ragazza perbene». Risponde quel pendaglio da forca: «Oh, signore, nessuno è senza peccato». È vero: però tu ti comporti male, e meriteresti che tua moglie ti facesse le corna a te come tu le fai a lei. Con questo non voglio dire che tu, donna, se tuo marito ti è infedele, anche tu debba fare altrettanto, no [...]. Dimmi, marito: forse credi che tua moglie abbia più obblighi verso di te che tu verso di lei? No davvero [...]. Perciò, se ti fa le corna, abbi pazienza, ché il proverbio dice: «Chi la fa l'aspetti». Perché, come dice Aristotele negli Oeconomica, «il marito non deve oltraggiare la moglie affinché la moglie non oltraggi lui». Oltraggiare la moglie significa andare con un'altra donna. Nondimeno tu non vuoi che te lo dica, che te ne parli, ma pretendi che sopporti pazientemente. E se lei commette una sia pur minima mancanza - non dico riguardo all'onestà - tu che fai? Quello che dice il proverbio: quando nasce un uomo nel Ferrarese, nasce un asino al marchese. Così fanno alcuni con le loro mogli: alla minima mancanza, giù bastonate, pugni e calci. Rifletti, cervello del diavolo, villanzone, tu che dai subito in escandescenze, matto di settantatré cotte, su quel che dice san Paolo, Ef. 5, 25: Mariti, amate le vostre mogli [...]. Rifletti, cervello pieno di grilli, che non fai altro che rimproverarla: tu devi volerle bene. Dimmi, cittadino: di dov'è tua moglie? «Di Monza, signore; e di buona famiglia, vi posso dire, in cui tutti vivono come si deve: infatti il padre fu uomo di gran reputazione, la madre è una matrona che sarebbe capace di governar l'Italia intera, le sorelle sono ben accasate in grandi famiglie, i fratelli sono uomini importanti». «È vero tutto ciò?». «Si, certo, padre, non vi direi mai una bugia». Vieni qua, cervello di matto, guarda qua: perché non devi volerle bene? [...] Ma ci vorrebbe la mannaia del macellaio per rompere la schiena a una brigata di calabroni che non pensano mai a queste cose e non tengono in alcun conto l'amore della moglie [...]. Diceva dunque Cicerone, nel primo libro del De Officiis, che «Qualsiasi osservazione o rimprovero non deve mai essere offensivo», cosa che molti non fanno: infatti chiamano le mogli puttane, ribalde, sgualdrine, porche e vacche. Gaglioffo d'un marito! Se tua moglie è una puttana, tu sei un ruffiano. Se è una sgualdrina, ebbene, tu hai le corna [...]. Taluni infatti credono sempre di giocare ai trionfi e non sanno giocare altro che col re di bastoni 4.

 

Testo originale

 

[Q. cc.178 (264) v.-183 (269) v.] Prov. XII [4). Mulier sapiens corona est viro suo, et maxime propter curam domus: nam tenent domum mundam, gausapes et alios pannos, et provident de omnibus; que si non essent, mariti viderentur theotonici et, ut ita loquar, pediculi comederent eos [...] O poverello marito, quando tu es infirmus quomodo faceres si non esset uxor tua, quam numquam respexisti bono oculo? Cogita quia dormit super banchas; si ploras, plorat; si conquereris, conqueritur; si suspiras, suspirat, tota aflicta, tota melenconica. Non comedit, non dormit, stat cum vestibus in dorso, et nec de die nec de nocte nescit quid sit quies; semper cogitat quid facere debeat ut placeat in omnibus tibi in tua infirmitate. Servit tibi in omnibus: non habet fastidium, non stomacatur de te, sicut vera turtur te semper circumdat. E da l'altra parte // dedignaris eam vocare dona, sed vocas eam civeta, matta, porcha, putana, mocignosa, çuieta, stornella. Audi, testa balzana, quid dicit Paulus; I Cor. 7 [10]: Precipio iam non ego, sed Dominus, uxorem a viro non discedere [...]; et Ad Col. 3 [19]: Viri, diligite uxores vestras et nolite amari esse ad illas. Quia tu relinquis eam sicut una trista et una misera et sequeris illam putanam que extrahit tibi omnia bona tua e te voda el borsello. [...] O quot sunt de questi poltroni, asnaci, ribaldoni, tinazi da luxuria, qui habent uxores pulcras, sapientes, de bona casa et nobiles sanguine, quam non mereris habere, et tamen sequuntur alias et dimittunt propriam! «O», dirà quel gavinello, «o meser, el' è una zovena da bene, se non avesse quel poco...». È tanto da bene che è una cosa stupenda. La sa far zò che la vole. Dime, che vole dir «quel poco», a[h]? «Et non intelligis? El vole dire: se non fosse una putana e una gayofa ela sarebe una zovena da bene». Risponde quello sog[h]eto da forca: «O meser, nemo sine crimine vivit» El è el vero: tamen tu male facis e meritaresti che la te fesse li corni a tu como li fay a ley. Non che te volia dir che tu, dona, se el tuo marito te rompe la fede a tu, che anchora tu gie la rompi a luy, no. [...] Dic mihi, o vir: numquit credis quod mulier magis teneatur tibi quam tu illi? Certe non [...]. Et ideo, se la ti fa li corni, abi patientia, quia dicitur in proverbio: Chi ne fa ne debe aver [...]. Quia, ut dicit Aristoteles in libro Yconomicorum, «Vir non debet iniurari femine ne femina iniurietur ei». Iniurare femine est coire cum extranea muliere. Et tamen tu non vòy che la te 'l dica né te parli, / / ma che abi patientia. E se ley fa impoco de diffeto - non dico circha la honestà - che fatu? Quel che se dice in proverbio: el se dice che quando nasce uno homo in Ferares el nasce uno asino al marchese. Così fano alcuni erga uxores suas: quando faciunt vel minimum defectum, semper zogano de bastoni, pugni e calci. Nota, cervello del dyavolo, strabucato, bizaro, matto da setantatrey cotti, quid dicit Paulus, Ad Ephesios 5 [25]: Viri, diligite uxores vestras [...]. Nota, cervello da parpalioni, che may tu non fay se no rampognarla: tu teneris ipsam diligere [...]. Dic mihi, o civis: unde est uxor tua? «Da Monza, meser; e sì, ve so dir, de bona casa, in qua omnes vivunt como se debe; habuit enim patrem chi [fu] homo d'asay, mater est una matrona que sufficeret ad regimen tocius Italie, sorores bene nupte sunt in magnis domibus, fratres sunt homines da fatti». «Estne verum hoc?». «Certe, ita, pater. Non dicerem vobis mendacium». Va' qua, cervello de matto! Guarda qua: quare non teneris diligere eam? [...]. Ma el bisognarebe qua la manara del becharo e rompere le spale a una brigada de galevroni / / qui non cogitant unquam talia nec considerant amorem uxoris sue quem portavit et portat sibi.

[c. 183(269) r.] Ideo dicebat Tullius, primo De Offitiis, «Omnis enim animadversio et castigatio vacare debet a contumelia». Quod multi non faciunt: nam vocant eas putanas et ribaldas et meretrices, porcas et vacas. O poltrone marito! Si tua uxor est puta, e tu es unus rufianus. Si est meretrix, ergo habes cornua [...]. Aliqui enim credunt semper ludere a' triumphi et nesciunt ludere nisi cum lo re de bastó».

 

Note

 

1.  Prima Pars, q. 92 art. 3°. Questo brano e quelli riportati fanno parte di un sermone di cui ha pubblicato ampi estratti A. Neri Saggio d’una predica sull’amor coniugale del secolo XVI, in XXX Giugno MDCCCXC. Opuscolo dedicato ad Alessandro D’Ancona pel suo trentennio d’insegnamento da F. Novati e a Neri, Genova, 1890. Per la traduzione ci siamo valsi dell'opera di Luciana Lazzerini Il testo trasgressivo: testi marginali, provocatori, irregolari dal Medioevo al Cinquecento, Milano, F. Angeli, 1988.

2. Si veda Trionfi, Trionfini e Trionfetti.

3. Alcune parti del sermone sono state riportate inizialmente.

4. Lucia Lazzerini, cit., pp. 132-133.

 

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