Andrea Vitali, luglio 2021
Di Antonio Abbondanti, nato a Imola sul finire del sec. XVI, si hanno scarse notizie. Apprendiamo dall’opera di cui parleremo che accompagnò monsignor Pier Luigi Carafa in Germania allorché questi venne nominato nunzio apostolico a Colonia, dove il nostro rimase per lungo tempo svolgendo la mansione di segretario di quella nunziatura, incarico che mantenne anche dopo il ritorno in patria del Carafa.
Nel 1625 mentre era al servizio del Monsignore diede alle stampe il Viaggio di Colonia, ristampato due anni dopo a Venezia, piacevoli capitoli satirici burleschi in cui raccontò in stile bernesco le vicende eroicomiche vissute in occasione del suo viaggio. Nel 1630 viaggiò nei Paesi Bassi, dove ad Anversa pubblicò La Giuditta, dedicata al suo protettore Carafa, poemetto sacro che apparve assieme alle Rime Sacre Morali e Varie. Dal frontespizio delle Rime apprendiamo che a Bologna aveva fatto parte dell’Accademia degli Avvivati con lo pseudonimo di Innominato.
Sotto lo pseudonimo di Ercole Cristiano aveva dato alle stampe un elogio in versi del Conte di Telly, mentre nel 1641 pubblicò a Colonia il Breviario delle guerre dei Paesi Bassi, resoconto degli eventi più importanti che portarono quei Paesi a rivoltarsi contro la dominazione spagnola. Benedetto Croce nei suoi Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento ripubblicò il suo Encomio di Napoli stampato dall’Abbondanti a Venezia nel 1629 nelle Gazzette Menippee del Parnaso. La data della sua morte è da fissarsi post 1652.
Il suo Viaggio a Colonia venne integrato nell’edizione veneziana del 1627 con tre capitoli riguardanti un ulteriore viaggio da Colonia a Treviri. Venendo a scrivere di Liegi, la tratteggiò come una città situata in una deliziosa pianura circondata da ameni colli ricchi di orti e vigne, con il fiume Mosa che attraverso vari suoi rami la divideva per poi circondarla prima di proseguire il suo cammino. I suoi abitanti, dediti come passatempo alla caccia, non avevano pertanto alcun problema tante erano le possibilità di trovare spunti per un proficuo lavoro. Purtroppo, avevano un brutto vizio.
La sua vena satirica burlesca, nell’evidenziare il carattere degli abitanti di quella città, lo portò a descriverli come dei matti, sempre pronti a litigare fra loro per il cibo, per la casa e perfino per la propria ombra, giungendo addirittura a considerare il litigio come motivo d’onore, tanto da non rispettare coloro che si ritraevano dal disputare, considerati dei falliti, nonostante il litigare mandasse in rovina i più. Poiché attraverso il litigio ognuno riusciva a condurre vita dignitosa, tutti chi più chi meno erano da considerarsi dei lestofanti.
Il verso che riassume la considerazione dell’autore su questo comportamento è il seguente: “Hanno cervelli tutti da Tarrocchi” dove, in base a quanto abbiamo evidenziato sul significato della parola Tarocco 1, l’Abbondanti identifica i Legesi al pari di matti, di balordi, ponendosi il verso come uno dei molti esempi del significato di Tarocco = Matto nel Cinque e Seicento.
Viaggio di Treveri
Capitolo Secondo
[…]
Sappiate dunque, ch’ in pianura amena
E’ posta la Città cinta di colli,
C’hanno gli Orti, e le Vigne in su la schiena (1).
La Mosa poi con le sue braccia molli
La divide in più parti, e poi l’abbraccia
Facendo mille giri, e rompicolli.
Onde gli abitatori han varia traccia (2)
Da buscarsi ogni dì pane, e baiocchi
Se ben più del boccal (3) vanno a la caccia.
Hanno cervelli tutti da Tarrocchi,
Se bene gonfi sanno de’ magnati, (4)
Né vogliono, ch’ il naso alcun gli tocchi. (5)
Son tutti ne le liti rovinati,
Perche litigarebber l’appetito, (6)
L’ombra loro, e la casa, onde son nati.
Non è chi non hà liti riverito
Anzi il titol de’ primi è litigante, (7)
E l’huomo senza liti par fallito.
Con litigare ogniun si tira avante,
E dalle liti vengono gli onori,
E quindi ogni Legese, è lesto fante. 2
[…]
(1) in su la schiena = sul dorsale
(2) han varia traccia = hanno varie occasioni, punti di riferimento
(3) del boccal = del bere
(4) Se bene gonfi sanno de’ magnati = sebbene tronfi si atteggino come magnati,
ovvero da cittadini ragguardevoli per autorità e prestigio nella vita politica ed
economica del proprio paese
(5) ch’il naso alcun gli tocchi = essere presi per il naso, cioè essere presi in giro
(6) litigarebber l’appetito = litigherebbero su chi avesse più appetito (sia in riferimento al cibo che al desiderio di possedere)
(7) il titol de' primi = il titolo di coloro che vengono riconosciuti con maggiore autorevolezza
Più tardi, probabilmente criticato per aver così giudicato i Legesi, l’Abbondanti scriverà una Mentita Poetica ovvero una smentita, in cui, ritornando sui suoi passi, in forma poetica accusò la sua Musa per quanto aveva scritto.
Madonna Musa mia tu te ne menti
Di quel, che già soffiasti al mio Trombone
In contro a Liegi, e l’Eburone genti.
Perche di prima stampa un bel minchione
M’hai tu fatto parere in ogni loco,
E fattomi tener per cicalone.
E quel ch’è peggio, m’hai tu posto in gioco
Con farmi mostrar da tutti un dito
Per un’homaccio credulo, e da poco.
Mà risoluto sono in stil non trito
Di far vedere al Mondo le menzogne
Del cervellazzo tuo troppo sciapito 3.
Fra i numerosi versi che compongono la Mentita, l’autore così accusa la sua Musa per aver chiamato Tarocchi i Lecesi:
Mà passiamo di grazia a quel, che vale
Fra l’altre tue sciocchezze trè baiocchi,
E che la sferza merta d’un stivale (1).
Dicesti, che cervelli da Tarocchi,
E che superbi fanno de’ magnati
Tutt’i Legesi allhor che altri li tocchi.
Son dunque degni d’essere biasimati
Color, ch’a tutti san mostrare i denti,
Mentre a l’ingiurie sono provocati?
In questo sì non solo tu ti menti,
Mà mostri solennissima ignoranza
E più che de la pazza a tutti senti.
Sanno i Legesi stare in ogni danza (2)
E sanno farsi piazza da pertutto
Col merto, e col valor, che loro avanza.
E dove altri non può cavar costrutto,
Essi vi fanno molto di profitto;
Cosa, ch’ogni cervello hà già distrutto 4.
(1) stivale = calcio
(2) danza = situazione
In un alternarsi su ciò che l’Abbondanti aveva scritto di negativo su quelle genti e in positivo sui loro meriti, l’accusa verso la sua Musa si rende via via più pungente tanto da giungere ad affermare che se si fosse resa conto della realtà che lui aveva vissuto, essa avrebbe ritrattato tanto ardire. Come sappiamo poiché nel comporre versi la fantasia vola, l’autore si mette qui in competizione con la sua Musa, tanto da farla apparire una personalità a sé stante, diversa e altra da lui. Se occorre condannare qualcuno, si condanni la Musa e non l’autore, che ha avuto il solo torto di ascoltarla.
E tu che colma sei d’alto despitto
Se toccassi con man quel, ch’hò toccato,
Ritratteresti meco quel, ch’ai scritto 5.
L’espressione “cervelli da Tarocchi” doveva in ogni modo essere nelle corde dell’autore, dato che la troviamo una seconda volta nel Capitolo Primo delle Gazzette Menippee di Parnaso indirizzato al Sig. Dottor Giuseppe Miloni Gentilhuomo Napolitano dove in una terzina sottolinea come attraverso la ragione si potesse far comprendere certe situazioni anche agli idioti.
E con varie ragioni egli poi feo
Capaci quei cervelli da Tarocchi,
Ch’il robbar imitando non fa reo 6.
Note
1. Si veda Tarocco sta per Matto.
2. Tre Capitoli Piacevoli D’Antonio Abbondanti da Imola. Aggiunti al suo Viaggio di Colonia. Ne quali racconta un altro Viaggio da Colonia à Treveri, In Venetia, Appresso Francesco Baba, M.DC.XXVII. [1627], cc. 63r-v.
3. Gazzette Menipee di Parnaso capitoli Piacevoli D’Antonio Abbondanti da Imola, Coll’aggiunta di alcune Rime Giocose del medesimo Autore, In Venetia, Appresso Francesco Baba, M.DC.XXIX. [1629], Mentita Poetica, p. 18.
4. Ibidem, p. 20.
5. Ivi.
6. Ibidem, p. 35.
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