Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

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Il Bagattino fra storia e letteratura I

La moneta di scarso valore da cui derivò la parola Bagatella

 

Andrea Vitali, dicembre 2018

 

 

La parola bagatella significante cosa di poco conto, di scarso valore, è termine che “compare nei volgari italiani scritti dalla fine del Quattrocento, per diffondersi nel corso del Cinquecento in un’area che va dal Nord Italia alla Campania di Masuccio Salernitano, facendo perno soprattutto sul territorio centro-settentrionale”. 1 Una delle ipotesi più accreditate fa derivare bagatella da bagatinobagattino, moneta coniata fin dal 1301 a Venezia dal valore assai modesto.

 

Prima di trattare delle opere dei letterati, occorre compiere una disamina sulla storia di questa moneta ricorrendo a uno studio compiuto sulle monete e sulle zecche italiane da Guid’Antonio Zanetti nel 1786, 2 che si presenta come uno dei più esaustivi sull’argomento. Venendo a trattare delle monete trevigiane, l’autore menziona, in un confronto con quelle di Venezia, il bagattino chiamato anche picciolo:

 

Il Carli porta una Moneta nominata Bagattino di Giovanni Mocenigo eletto Doge l'anno 1478, che pesa carati 16 ed è di ottone: da una parte sta il Doge in ginocchioni, collo stendardo, e all'intorno IOANES. MOCENIGO. DVX., nel campo di qua e di là del Doge L. D. iniziali del Provveditor in Zecca, forse Leonardo Donà; e dall'altra un Leone alato di prospetto comprova con ciò, che nel torno dell'epoca, ch'io assegno alle Monete di cui favelliamo, la Zecca di Venezia ne coniava di cotal sorta; cioè di ottone, ovvero di rame ad altri metalli meschiato, colla figura di S. Marco in faccia, e colle due lettere ai lati della figura: le nostre peraltro pesano, alcune otto in nove carati, ed altre quattro in cinque, ond'esser doveano la metà, o il quarto del menzionato Bagattino. 3

 

Una moneta, il bagattino, che venne coniata anche per Treviso da parte della zecca veneziana: “Danari Bagattini di Trevigi colle figure di S. Marco e di S. Liberale” come riportato nella disposizione ducale datata 21 anni dopo quella coniata dal doge veneziano:

 

Augustinus Barbadico Dux Venet. & c. Nob. & Sap. Viro Augustino Fuscareno & c. Volumus & vobis jubemus cum Capitibus Consilii ñri X. Quod dici faciatibus isti fidelissima Communitatis nostra, quod Bagatini seu Denarii, quos ipsa habere voluit, sunt impressi in Cecca nostra: proinde mittant acceptos illos, & mittant altrettantas Monetas auri, aut argenti, quia habebunt eosdem denarios. Data in nostro Du. Pal. Die XXIII. Martii indict. XI. 14934

 

Sebbene le prime testimonianze scritte sulla presenza a Venezia di questa moneta risalgano al 1478, come sopra evidenziato, l’autore del trattato indica l’anno 1301 come probabile data del suo primo conio. 5 Si trattò di una moneta che ebbe larga diffusione, trovandosi a Brescia e anche a Verona. In quest’ultima, il denaro grosso d’argento, quindi di un certo valore, detto aquilino dopo il 1220, non venne più così chiamato dal 1300, ma denaro e denaro piccolo, e questo in seguito all’estremo indebolimento della moneta e della inondazione del rame. A questo denaro piccolo si diede poi il nome di bagattino. Sul Bagatino veronese scrive l’autore, da cui si comprende lo scarso valore di questa moneta:

 

Il Bagatino Veronese è assai differente dal Veneziano, e nella forma, e nel tipo, e nella sua origine. E' differente nella forma, perchè il Veneziano è sottile più della metà, ed è di minor peso; è differente nel tipo, perchè così si vede realmente; differisce poi nell'origine, perchè il Bagatino Veneziano correva fino dal 1371 circa anche in Verona, trovandosi nell'aggiunta allo Statuto di Alberto della Scala: Item quod Veronenses tam grossi quan parvi, Mezini, Bagatini, Veneti grossi expendentur secundum cursum; e del 1459 se ne fa il bando dalla nostra Città, come abbiamo da Virgilio Zavarise, Contra quatrinos & bagatinos. Laddove il nostro Bagatino Veronese non si fece che del 1515, ed è Moneta dell'Imperator Massimiliano dopo ch'ebbesi impadronito di Verona; così ci dice il Gazata nelle sue Croniche 1515. 18 Settembre: I nel tempo dicto si cominciò a coniar ovver batter monede in Verona, e se faceva denari piccoli detti bagattini. Altro del Bagatino Veronese non mi è riuscito di trovare; ma si vede che era lo stesso che il Piccolo, dicendosi Denari piccoli detti Bagattini. Il Bagatino Veneziano, che in Verona s'introdusse alterato del 1441, fu quindi perciò bandito del 1459. Ci volevano Bagatini 48 a formar un grosso, e per ogni marca avevano carati otto d'argento, e carati 1144 di rame; e 'l Corte dice, che del 1515 si ripigliarono a battersi in Verona, dicendosi ai Denari piccoli, Bagatini. Questi son quelli che venner battuti da Massimiliano, come di sopra si è detto; parte sono del 1515, e parte del 1516, come si vede detto anno segnato sopra di essi, di sotto al busto del Santo Vescovo. 6

 

Si trattò tuttavia di una moneta che ebbe larga diffusione venendo utilizzata anche in altre regioni d’Italia, come la Toscana. E appunto a questa regione mi sono rivolto per il primo riferimento letterario. Nella novella IX dell’ottava giornata del Decamerone, il Boccaccio (Certando 1313 - 1375) racconta la storia di due giovinastri, Bruno e Buffalmacco che canzonano ‘Mastro Simone’ medico, riservandogli un finale non proprio da lui gradito. In un dialogo fra Bruno e detto medico, quest’ultimo, nell’elencare i beni in suo possesso, si vanta dicendo di possederne tanti il cui valore assommava in lire a 100 bagattini.  “Et come tu hai potuto vedere, io ho pure i più be’ libri e le più belle robbe che medico di Firenze. In fé di Dio, i’ ho roba, che costò, contata ogni cosa, delle lire presso a cento di bagattini, già è de gli anni più di diece”. 7

 

Nel vocabolario curato da Girolamo Ruscelli riguardante i termini utilizzati dal Boccaccio, alla voce Dalla lettera B Innanzi A. la spiegazione di bagattino è la seguente: “Moneta minima usata in Vinetia, et in Toscana secondo il lascito fatto à Calandrino dalla zia. In Regno, gli dicono cavallucci, & piccioli”. 8

 

Lorenzo Lippi nel Malmantile racquistato 9 riferisce di una partita a minchiate (tarocchi toscani) fra il generale Amostante e un certo Piaccianteo il quale, avendo tradito la propria fazione, era stato messo ai ferri in attesa di una triste fine. Ma poiché al generale era subentrata implacabile la brama di giocare a carte e non trovandosi nessuno in quel mentre a disposizione, decise di far liberare il meschino, adottando la scusa che in realtà gli indizi del suo tradimento non erano così palesi da giustificare il suo imprigionamento. Apprendiamo il carattere del generale dalla seguente ottava, le cui Annotazioni a cura di Puccio Lamoni fanno conoscere che l’autore aveva voluto identificare in quel personaggio Antonio Malatesti, autore del libro La sfinge o enimmi, incentrato sulle minchiate fiorentine.   

 

Primo cantare

 

61

 

È general di tutta questa mandra

   Amostante Laton, poeta insigne:

   Canta improvviso, come una calandra;

   Stampa gli enigmi, strologa e dipinge.

   Lasciò gran tempo fa le polpe in Fiandra,

   Mentre si dava il sacco a certe vigne,

   Fortuna, che l’avea matto provato,

   Volle ch’ei diventasse anche spolpato. 10

 

Annotazioni di Puccio Lamoni (Paolo Minucci) alla stanza 61:

 

Amostante I.aton, Antonio Malatesti, scuolare del Lippi, uomo facetissimo, ed autore del libro intitolato: La Sfinge o gli Enimmi, la maggior parte in Sonetti. - Calandra, spezie d' uccello, simile alla Lodola, ma alquanto maggiore, che canta benissimo. - Lasciò gran tempo fa ec. Il Malatesti non era mai stato in Fiandra, nè alla guerra; ma era ben convenevole il fingere che vi fosse stato, facendolo Generale di questo esercito. S'avverta, che è anche un proverbio il dire, che un tale ha lasciato le polpe in Fiandra, per dire che quel tale ha le gambe sottili. 11

 

Con le ottave a seguire caratterizzate da uno spirito ilare, aspetto che connota d’altronde l’intera opera, si entra nel vivo della ludica battaglia dove Piaccianteo accetta qualunque invito proposto dal generale sebbene non avesse nella sua borsa alcun bagattino, cioè fosse senza soldi.

  

 Ottavo cantare

 

73

 

Amostante, ch’è uom di buona pasta,

   E poi da bene, ancorch’egli abbia il vizio,

   Di questo suo giuocar, dov’e’ si guasta,

   Fa liberarlo senz’ alcun supplizio,

   Dicendo, ch’a impiccarlo non gli basta

   L’aver semplicemente un po’ d’ indizio;

   Ma quand’anch’egli avesse ciò commesso,

   Del far la spia non se ne fa processo.

 

74

 

E al prigion preterito imperfetto

   Rivolto con le carte in man, l’invita,

   Già fatteselo porre dirimpetto,

   A giuocar d’una crazia la partita;

   Ovver si metta fuor in sul buffetto

   Un testoncino, e sia guerra finita:

   Così lo prega, lo scongiura, e in parte

   Bada pur sempre à mescolar le carte.

 

75

 

Quegli, che compiacerlo non gli costa,
   E vede averla avuta a buon mercato;
   L’invito tiene e regge ad ogni posta,
   Bench’ ei non abbia un bagattino allato:
   E dice, al più faremo una batosta,
   Quand’ ei mi vinca, e voglia essere pagato:
   Di rapa sangue non si può cavare,
   Nè far due cose, perdere, o pagare.

 

76

 

Duraro a battagliar forse tre ore,

   Poi la levaron quasi che del pari;

   Se non ch’ il General fu vincitore

   Di certa po’ di somma di denari:

   E perchè gli domanda, e fa scalpore,

   Quei, che gli spese in cene e desinari,

   Non aver (dice) manco assegnamento;

   Talchè Amostante resta al fallimento. 12

 

Annotazionidi Pucccio Lamoni alle ottave riportate:

 

St. 74. - Prigion preterito imperfetto. La voce preterito, che suona passato, qui vuol dire, che il prigione [sic] era dietro al Generale: e la voce imperfetto denota l'imperfezione e

vigliaccheria di Piaccianteo. Nota in questa Stanza, come bene il nostro Autore descrive un giuocatore abituato; perciocchè mostra, ch' egli non ha riguardo a giuocare con qualsivoglia sorte di persone, in qualunque luogo, alla presenza di chicchessia, di poco o d' assai, ed in somma prega, scongiura, e propone tutti i partiti immaginabili, purchè e' giuochi, non tralasciando frattanto di mescolare le carte, per esser più pronto a cominciare.

St. 75. - Non abbia un bagattino allato. Bagattino è la quarta parte del quattrino fiorentino, con altro nome detto picciolo. Allato vuol dire nella borsa de' denari, la quale si tiene allato, cioè in tasca, ovvero attaccata alla serra de' calzoni, come usavano gli antichi. - Faremo una batosta, combatteremo e questioneremo con parole: ed abbiamo ancora il verbo batostare per

combattere, battagliare.

St. 76. - La levaron quasi che del pari. Ci s'intende la scrittura: non vi corse quasi niente,

cioè si vinsee si perdè poco. Fa scalpore, fa romore, contende alzando la voce. Questa voce deriva dallo strepito che fa chi adopra lo scalpello. - Non aver manco assegnamento, non aver danari, nè modo da trovarne. E il detto nè manco in questi termini ha la forza del latino nec etiam, ovvero ne quidem, che noi pure diciamo nè pure, nè menonè anco. 13

 

Nel Morgante maggiore Luigi Pulci (Firenze 1432- Padova 1484) utilizza un’espressione passata poi nell’uso comune per indicare il desiderio di non pagare, dato i pochi denari nella tasca, e cioè “voler pagare di bagattini”. Nelle ottave seguenti di questo poema epico-cavalleresco basato sul ciclo carolingio, Morgante, un gigante turco convertito alla fede cristiana da Orlando e Orlando stesso, si ritrovano, dopo aver compiuto una grande libagione e dormito presso un’osteria, a non trovare la porta per uscire dalla stanza essendo completamente ubriachi. Inoltre, nessuno dei due aveva intenzione di chiedere il conto all’oste data la scarsità di monete tintinnanti nella scarsella.

 

Da Canto secondo

 

Quivi vivande è di molte ragioni,

Pavoni, e starne, e leprette, e fagiani,

Cervi, e conigli, e di grassi capponi,

E vino e acqua per bere e per mani,

Morgante sbadigliava a gran bocconi,

E furno al bere infermi, al mangiar sani,

E poi che sono stati a lor diletto,

Si riposorno intro uno ricco letto.

 

Come e’ fu l’alba ciascun si leva,

E credonsene andar come hermellini,

Ne per far conto l'hoste si chiamava,

Che lo volean pagar di bagattini,

Morgante in qua in la per casa andava,

E non ritruova dell'uscio i confini,

Diceva Orlando saremo noi mezzi,

Divino, che l'uscio non si raccapezzi. 14

 

Francesco d’Ambra (Firenze, 1499 - Roma, 1558), fu autore delle commedie BernardiIl furto e La cofanaria. Quest’ultima, in versi sdruccioli come la prima, racconta di Bartolo, desideroso di dare in moglie al proprio figlio Ippolito la giovane Laura, creduta vedova di Claudio Fidamanti e figlia del vecchio Ilario. Ippolito, innamorato invece di Marietta, cercherà di evitare il più possibile il matrimonio. Si scoprirà alla fine che Claudio non era morto e che quindi Laura non era più vedova, mentre Marietta risulterà essere figlia dello stesso Ilario. Nei versi seguenti, l’autore riporta, per bocca di Ippolito, un’assoluta verità e cioè che nessuno intende prestare soldi senza un garante. La spiegazione di bagattino sotto riportata è dell’autore stesso.

 

La cofanaria

 

Atto primo - Scena II

 

Panurghio, famiglio d’Ippolito - Ippolito, giovane innamorato

 

Pan. Egli si dice che la più difficile

Cosa che sia a fare, è accozzar uomini:

E a me par che sia più presto mettere

Insieme de' denar, quantunque piccola

Somma sien. Tosto che un dice d'essere

In bisogno, ciascun fugge credendosi

Per cosa certa aver da lui a essere

Richiesto.

Ippol.          (E' par molto malinconico!

L' andrà male.)

E color che danno a cambio.

Senza mallevador non ti darebbono

Un bagattino (1).

Ippol. (avanzandosi) Come va, Panurghio?

Pan. Oh padrone, egli va come gli è solito. 15

 

(1) moneta usatissima a Venezia, e, siccome il picciolo, valeva un quarto del quattrino.

 

A conclusione, due passi, tratti il primo da una poesia e il secondo da una commedia di Giulio Cesare Croce (San Giovanni in Persiceto, 1550 - Bologna, 1609) che scrisse di tarocchi in diverse sue opere. 16 Per primo, l’incipit della poesia Poi ch’io sento chiarlare le persone in cui un personaggio, più che malvolentieri, dichiara di essere considerato meno di un bagatino. Il che è tutto dire.

 

Poi ch’io sento chiarlare le persone

qual dicon ch’io non vaglio un bagatino

e ch’io non son un barbaro, ma un cozzone 17.

 

Il secondo passo è tratto dalla commedia Banchetto de’ mal cibati, dove in occasione di un dialogo fra il messer Pocoraccolto con il sensale messer Disagio, quest’ultimo, raccogliendo l’istanza del primo di voler organizzare una grande (ma povera) cena, si mette a disposizione per acquistare ogni necessità. I versi “Vado Patron e fin à un bagatino / Farò quanto da voi ho di precetto” significano che il servo avrebbe ottemperato a quanto richiesto dal padrone fin nelle minime cose.

 

Da Atto primo - Scena prima

 

Meser Disagio, Sensale & Meser Pocoraccolto, padre di Madona Carestia

 

M. P. Horsù Fastidio, và ritrova un poco

Mastro Magrino amico mio perfetto,

qual è si raro, e sofficiente cuoco.

Ch'io intendo di voler far un banchetto

Il più degno, il più nobile, e compito,

Che si sia fatto mai in questo tetto.

E fa che sia invitato à sto convito

Messer Distrutto, con Messer Disfatto;

Madonna Fame, e Messer Appettito.

Ne mancar d'invitare a tal contratto

Messer Poca pecunia mio compare,

che questi cinque staran tutti à un piatto,

Non resterai ancora d'invitare

L'asciuto, il magro, il scarmo il morto, e seco

Madonna Pocagioia mia comare,

Và dunque, e cerca far quanto t'arreco,

Ma vedi prima di trovar Magrino,

E in ogni modo fà, ch'ei venga teco.

M.S. Vado Patron, e fin à un bagatino

Farò quanto da voi ho di precetto,

E adesso adesso mi pongo in camino. 18

 

Note

 

1. Si veda El bagatella ossia il simbolo del peccato.

2. Guid’Antonio Zanetti, Nuova raccolta delle monete e zecche d’Italia. Tomo IV. In Bologna, nella Stamperia di Lelio dalla Volpe, MDCCLXXXVI [1786].

3. Ivi, pp. 142-143.

4. Ivi, p. 43.

5. Ivi, p. 353.

6. Ibidem.

7. Giovanni Boccaccio, Decameron. Ed. critica a cura di Vittore Branca. Vol. II. Torino, Einaudi, 2014, p. 994.

8. Girolamo Ruscelli,Vocabolario generale di tutte le voci usate dal Boccaccio, bisognose di dichiaratione, d’avvertimento, ò di regola. In Venetia, alla Bottega d’Erasmo, appressso Vincenzo Valgrisi; et Baldessar Costantino, al Segno di S. Giorgio, MDLVII [1557], p. 378.

9. Si veda Il Malmantile racquistato I.

10. Lorenzo Lippi, Malmantile Racquistato (Testo di lingua). Prima ed. napolitana per cura di Gabriele De Stefano. Vol. I. Napoli, presso Gabriele Sarracino, 1854, p. 16.

11. Ivi, pp. 37-38.

12. Ivi, vol. II, pp.128-129.

13. Ivi, pp. 144 -145.

14. Luigi Pulci, Morgante maggiore, nuovamente stampato, & con ogni diligenza revisto, et corretto, et cavato dal suo primo originale, con le histoire e figure a ogni canto convenienti a quello che in esso si tratta, et con la dichiarazione di tutti i vocaboli proverbij, & luoghi difficili che in esso libro si contengono, et con la tavola che manda a propri luoghi. In Venetia, per Comin de Trino di Monferrato, l’anno MDXLVI [1546], c. VIIr.

15. [Francesco D’Ambra],Commedie di Francesco D’Ambra, cittadino e accademico fiorentino del sec. XVI. Trieste, dalla Sezione Letterario-Artistica del LLOYD Austriaco, 1858, p. 84.

16. Si veda Giulio Cesare Croce e i tarocchi. 

17. Giulio Cesare Croce (1550-1609), Capitolo di Rondone barbaro famoso del sig. Franco Tanari. Ms. 3878_I/10. Bologna, Biblioteca Universitaria.

18. Giulio Cesare Croce, Banchetto de’ mal cibati. Comedia dell’academico Frusto, recitata da gli affamati nella città calamitosa, alli 15. del mese dell’estrema miseria, l’anno dell’aspra, & insoportabile necesità. In Ferrara, per Vittorio Baldini, MDCI [1601], pp. 16-17.

 

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